Intelligenza Artificiale e modelli manageriali, un ruolo più proattivo per l’HR

Nell’attuale scenario aziendale, il lavoro si svolge sempre più in ecosistemi all’interno dei quali collaborano diversi attori, mentre si accorciano le tradizionali distanze gerarchiche e sfumano i confini spazio-temporali.

A rendere possibili le nuove modalità di collaborazione sono le tecnologie digitali, che hanno introdotto una vera e propria ‘disruption’, la cui conseguenza è la rivoluzione dei classici processi aziendali.

In questo contesto, si prospettano situazioni estreme, nelle quali i robot svolgono compiti umani e l’Intelligenza Artificiale (AI) è addirittura in grado di assolvere alle funzioni manageriali.

Compito dell’organizzazione – a fronte del cambiamento dei ruoli e delle competenze professionali dei manager – è mediare tra le diverse realtà, aprendo spazi per valorizzare le capacità uniche delle persone. Una missione che spetta soprattutto ai Responsabili HR.

Ma qual è l’impatto delle tecnologie digitali sull’organizzazione? E in quali ambiti aziendali sono maggiormente applicabili sistemi di AI? Si è cercato di rispondere a queste e ad altre domande nella Discussione Intelligenza Artificiale e modelli manageriali, promossa da Sviluppo&Organizzazione, alla quale hanno partecipato manager di aziende di diversi settori, che hanno portato la loro esperienza diretta e si sono confrontati su questo tema, agevolati da un esperto della materia.

Selezione e gestione delle persone nell’era digitale

Innanzitutto, è importante chiarire cosa si intende quando si parla di digitalizzazione nelle aziende. Secondo Marina Chesi, Responsabile Ufficio Risorse Umane del gruppo editoriale e di hospitality Monrif, l’AI fa riferimento a “una replica di conoscenze proprie dell’essere umano con applicazioni, per quanto riguarda il business editoriale, soprattutto nel settore online”.

Nel caso di Monrif (editrice di QN Quotidiano Nazionale, Il Resto del Carlino, La Nazione e Il Giorno), per esempio, le notizie trovano altre forme in Rete, come l’audio e il video e possono essere rese più o meno visibili anche attraverso algoritmi.

Chesi fatica però a legare indissolubilmente la digitalizzazione alla funzione HR, che rimane legata al concetto di ‘relazione’ tra le persone, che sono e rimarranno centrali nello sviluppo degli scenari futuri.

“Una maggiore concretezza, comunque, si può trovare nell’attività di recruiting e nella mappatura delle competenze delle persone, proprio perché l’elaborazione di una quantità importante di dati è di grande supporto al management sul processo decisionale”.

Giacomo Castri, Responsabile Recruiting and Assessment Center di Intesa Sanpaolo, sottolinea come negli attuali scenari di complessità e di trasformazione sia importante cogliere al meglio le molte opportunità date dal digitale e dai sistemi AI per supportare e spingere il business a tutti i livelli, con una premessa essenziale: “Che tutto sia inserito in una strategia complessiva, dove alla trasformazione dei sistemi e all’adozione di nuove tecnologie, si affianchi anche la continua attenzione alle persone e al miglioramento delle modalità di lavoro.”

“Infatti, la tecnologia non sostituisce le persone, ma può sicuramente rendere quello che facciamo più mirato, efficace, competitivo. Per fare un esempio nell’ambito AI, oggi è possibile svolgere analisi predittive anche molto sofisticate sui comportamenti dei clienti e dei colleghi, analisi che poi possono supportare il disegno e l’affinamento delle strategie, commerciali o di Employer branding che siano”.

Secondo Castri, “possiamo usare algoritmi per individuare una rosa di candidati best fitting per alcune posizioni, ma resta imprescindibile l’intervento umano valutativo e finale, che peraltro ha il peso specifico maggiore”.

E in linea con questo, infatti, Intesa Sanpaolo ha individuato nel digitale e nelle persone i fattori abilitanti del Piano d’Impresa 2018-2021. In un certo senso, la partita si gioca sul cercare le modalità migliori per sfruttare il potenziale delle nuove tecnologie.

“Al di là delle mode del momento, il contributo dell’AI può essere veramente un boost importante là dove ci siano grandi quantità di dati, nel nostro caso per esempio riceviamo 200mila curricula l’anno. Poter usare AI e algoritmi in alcune fasi di analisi può semplificare e migliorare i processi”. Secondo Castri però “la capacità dell’essere umano di leggere comportamenti e cogliere sfumature non è superabile dall’AI”.

L’azienda sta anche introducendo il Machine learning (con la massima attenzione agli aspetti di privacy ed etica), ma non ha in programma di delegare completamente l’iter valutativo alle macchine, anche perché “molte ricerche ci dicono che ancora oggi nel recruiting, così come negli assessment, la possibilità di confrontarsi con altre persone – il fattore umano – è percepito come molto importante, anche dai nativi digitali”.

In questo senso, secondo Castri, può risultare migliore l’esperienza cosiddetta ‘phygital’ che unisce fisico e virtuale.

L’articolo integrale è pubblicato sul numero di Novembre-Dicembre 2019 di Sviluppo&Organizzazione.
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innovazione HR, Intelligenza artificiale, AI recruiting, rapporto uomo-macchina, phygital


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Gabriele Perrone

Gabriele Perrone, giornalista professionista con oltre 10 anni di esperienza, è redattore della casa editrice ESTE. Nel corso della sua carriera ha lavorato per importanti gruppi editoriali, dove ha maturato competenze sia in ambito redazionale sia nelle pubbliche relazioni. Negli anni si è occupato di economia, politica internazionale, innovazione tecnologica, management e cultura d'impresa su riviste cartacee e giornali online. Ha presentato eventi e ha moderato tavole rotonde con protagonisti manager di aziende di fronte a professionisti di vari settori in location di alto livello. Tra le sue esperienze lavorative precedenti, ci sono quelle al quotidiano online Lettera43.it e in LC Publishing Group, oltre a numerose collaborazioni con testate italiane e straniere, da Pambianco all'Independent. Laureato in Lettere moderne presso l'Università degli Studi di Milano, ha conseguito un postgraduate diploma alla London School of Journalism.

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