Investire sulla fiducia
Amo viaggiare, soprattutto mi piace conoscere la dimensione sociale e culturale delle realtà che visito, spesso ispirate da un ‘Progetto Paese’ in grado di mobilitare milioni di persone su grandi temi collettivi. Sento vibrare in nazioni extra europee energie positive, ben lontane dalla sindrome depressiva che pare aver colpito da tempo, pur con qualche eccezione, l’Occidente.
Nel corso di queste occasioni affronto, spesso, il tema dell’educazione in generale. Mi sorprende la determinazione che ispira le politiche scolastiche, con percentuali da record di laureati soprattutto in campo tecnico scientifico. E tra di essi abbondano i giovani dal cursus studiorum eccezionale! Fenomeni come quello dei neither in employment nor in education nor in training (neet) risultano poco diffusi nelle realtà emergenti. In Italia, al contrario, si assestano al 26% contro un 14% della media Ocse: un esercito di ragazzi tra i 18 e 24 anni da tempo rassegnati a vivere nell’inattività più assoluta!
Alla vigilia di una rivoluzione totale del lavoro in cui ognuno dovrà reinventare la propria professionalità ogni tre-quattro anni, ci troviamo con una popolazione nazionale di laureati inchiodata a un modestissimo 19% se confrontato a percentuali quasi doppie degli altri Paesi europei. E il resto del mondo, come visto, continua a correre! Scuola e Ricerca rappresentano il laboratorio del futuro.
Il nostro Paese tenta ancora, con fatica, di mantenere in vita una tradizione che in passato ha saputo produrre eccellenze di prim’ordine. Da tempo, tuttavia, parrebbe che il motore di questa macchina stia girando a vuoto. Si è addirittura arrivati alle recenti dimissioni di un ministro per denunciare ‘il problema’.
Da due decenni spendiamo per l’Istruzione circa un punto e mezzo di Pil in meno rispetto alla media dei Paesi Ocse (3,6% contro 5%). E paghiamo a caro prezzo i minori investimenti: un blocco del turnover di durata infinita ha reso il nostro corpo insegnanti uno tra i più anziani al mondo. Eppure alcuni fattori parrebbero indicare una volontà, ancor debole, di provare a dare una scossa all’ambiente. Si è dato impulso alla ripresa degli investimenti in edilizia scolastica e sulla spesa per studente nelle scuole primarie e secondarie non si è distanti dalle medie dei Paesi più virtuosi.
Il problema è che si spende male. Soprattutto non si spende dove necessario: Università e Ricerca sono le vittime designate di una politica che non sa convertire le risorse da utilizzare in questi settori in investimenti strategici dei quali valutarne le ricadute globali a lungo termine sull’intero Sistema Paese.
Per questo cambio di passo occorrerebbero esponenti politici che ragionino da veri statisti, disposti a sacrificare nel breve il loro orticello elettorale a favore di un interesse superiore, i cui frutti verrebbero colti dalle generazioni successive. Ma visione ristretta, navigazione a vista e diffidenza verso la classe dirigente alimentano il mantra del pensiero dominante. Continuiamo a vivere nel rimpianto di un passato sopravvalutato, preferendo difendere quel poco che ormai ne resta piuttosto che accettare il rischio di nuove sfide, vitali per il nostro futuro. Molto più facile rispolverare concetti che credevamo da tempo sepolti: assistenzialismo, statalismo, ricette assai peggiori dello stesso male che dovrebbero combattere. A volte mi chiedo cosa accadrebbe se una Legge di Bilancio contenesse un piano realistico, dai risultati misurabili e verificabili, in cui buona parte di quanto stanziato per provvedimenti improduttivi quali Reddito di cittadinanza e Quota 100 venisse investito tra Ricerca, programmi finalizzati a creare borse di studio correlate al merito, rilancio del mondo dell’insegna mento riportato ai suoi valori di professione ‘nobile’ e, non da ultimo, stimoli e incentivi per sviluppare una cultura tecnico-scientifica di alto livello e diffusa capillarmente sul territorio.
Quei mercati finanziari così vituperati dai ‘nuovi pro feti’ aspettano dal nostro Paese prima di tutto un’inversione di tendenza della qualità della spesa pubblica. Senza segnali forti di discontinuità non ci resta che continuare a convivere pericolosamente con un rating in linea con il nostro debito monstre.
Non so se ci meritiamo che le decine di migliaia di giovani espatriati in cerca di successo vogliano tornare a scommettere sull’Italia. Temo che ciò resterà una pia illusione fin quando verrà premiata dalla realtà dei fatti la mediocrità di una classe politica i cui leader, nella maggior par te dei casi, non si sono sforzati nemmeno di guadagnare, con i dovuti sacrifici, il fatidico ‘pezzo di carta’.
* Antonio Rinetti è ex Direttore del Personale di un importante istituto bancario e attualmente Consulente HR
Ex Direttore del Personale di un importante istituto bancario e attualmente Consulente HR.
fiducia, legge di Bilancio, scuola e ricerca, Antonio Rinetti