Brand film

La classe operaia va… al cinema, comunicare i valori aziendali con i brand film

Il mondo del lavoro ha ispirato pellicole fin dagli esordi del cinema. Il tema ha occupato un posto d’onore nei film perché rifletteva le condizioni di molte persone: si tratta di commedie, ma anche di riflessioni drammatiche, talvolta affrontate con taglio comico, che hanno spinto il pubblico a ritrovarsi nelle narrazioni, conferendo nuovi punti di vista (o, con il linguaggio cinematografico, ‘nuove soggettive’). Il lavoro, del resto, è il motore della società. E le videonarrazioni lo hanno spesso ripercorso, evidenziandone le differenti declinazioni a seconda delle epoche storiche e degli scenari sociali e culturali.

Si pensi, per esempio, a Tempi moderni (1936) del regista e attore britannico Charlie Chaplin: il protagonista Charlot è un operaio di una fabbrica che lavora su una catena di montaggio. Ai tempi del taylorismo – teoria formulata Frederick Taylor (non per nulla era un ingegnere) per cui gli operatori dovevano ripetere ogni giorno gli stessi gesti meccanici nell’ottica di rendere al massimo, facendo il minimo sforzo e soprattutto poco spreco – il film, tragicomico, svelava le alienazioni del periodo della modernità e indagava il conflitto tra l’essere umano e la macchina. “Una storia i cui personaggi sono l’industria, l’iniziativa individuale, l’umanità che marcia alla conquista della felicità”, è la frase sullo schermo su cui girano le lancette di un orologio nella scena d’apertura. Si tratta di una pellicola che rispecchia un momento particolarmente difficile per la storia degli Stati Uniti: il 1929, infatti, vide il Paese (e a cascata il mondo intero) precipitare in una crisi economica senza precedenti, durata quattro anni.

Altri film nel corso della storia hanno contribuito a far emergere tematiche legate al lavoro e alla collettività. Giusto per citare alcuni esempi (ma sarebbero davvero tanti): Ladri di biciclette (1948) di Vittorio De Sica sulla vita di un operaio disoccupato; La classe operaia va in paradiso (1971), di Elio Petri sulla condizione operaia; Giovani, carini e disoccupati (1994), la cui regia è dell’attore americano Ben Stiller, che racconta la fase di passaggio di alcuni ragazzi dall’università al mondo del lavoro; Risorse umane (1999), pellicola francese del regista Laurent Cantet sul tema dell’orario di lavoro; La ricerca della felicità (2006) girato da Gabriele Muccino, il cui titolo fa riferimento alla dichiarazione d’indipendenza degli Stati Uniti d’America del 1776 nella quale sono elencati i diritti inalienabili degli esseri umani (la tutela della vita, della libertà e la ricerca della felicità). Si potrebbero anche citare alcune produzioni più recenti, come la serie televisiva The Office (2005), ideata dal comico e attore britannico Ricky Gervais, che tratta le vicissitudini di lavoratori in ufficio (esiste anche il remake Usa e dal 2006 anche la versione francese e tedesca).

Alla scoperta delle eccellenze italiane (nei film)

Fin qui il lavoro raccontato dai film. Ma nell’era post moderna, i ruoli si sono ‘ribaltati’: oggi sono le pellicole a essere al servizio della Comunicazione delle aziende per raccontare la visione del lavoro propria di ogni azienda, tramite quelli che vengono chiamati “brand film”. A questo proposito, è sempre più diffusa l’attività di videonarrazione – strutturata proprio come una pellicola cinematografica – di alcune imprese che hanno scelto questo format per raccontarsi e trasmettere messaggi e valori che hanno più a cuore. Inaz, azienda specializzata nell’amministrazione, gestione e organizzazione del lavoro nelle imprese, per esempio, ha prodotto il film dal titolo Il fattore umano. Lo spirito del lavoro, realizzato dal regista Giacomo Gatti: è un viaggio alla scoperta delle eccellenze italiane, aziende diverse per storia, settore e territorio; dai filari di viti fra le montagne del trentino alle strisce di pasta che scorrono a Gragnano, fino all’alta tecnologia in una fabbrica umbra…

A unire le aziende scelte da Inaz è un filo invisibile: quello della responsabilità. Tutte, infatti, declinano a loro modo una stessa visione, ovvero quella del fare impresa non soltanto come profitto, ma pure come sviluppo, cultura, creatività. Questi principi sono ancora preziosi in un tempo estremamente rapido e interconnesso. “Un viaggio alla ricerca degli uomini e delle donne che innovano, che lottano per il futuro e non dimenticano che al centro del lavoro c’è l’essere umano”: così è descritto il film dall’azienda. Il soggetto sono gli uomini e le donne che, tramite la loro professione e i loro sogni, trasformano ogni giorno l’impresa in realtà: raccontano in prima persona che cosa fanno all’interno dei loro stabilimenti, dando vita a un documentario sul lavoro ricco di esperienze.

Un altro esempio è il brand film di Focchi, azienda che realizza facciate continue, dal titolo SoulFaces – I volti del dettaglio. È un’opera realizzata per raccontare la vita aziendale e del ruolo delle persone di creare e produrre le facciate degli edifici. Gli attori e protagonisti del documentario sono, infatti, i dipendenti di Italia, Inghilterra e Stati Uniti dell’azienda. In un contesto multiculturale, a intervistarli – e a sostenere il loro lavoro – è Maurizio Focchi, Amministratore Delegato del Gruppo; l’ambizione della produzione è quella di fidelizzare e rendere partecipi le persone della vita d’impresa. “Noi come Focchi non abbiamo paura di buttarci in esperienze nuove”, dice un attore nel film.

Sostenere la comunicazione con la narrazione visiva

La realizzazione di un film può essere considerata a tutti gli effetti come una forma di comunicazione aziendale alternativa e originale, tramite la quale si vuole trasmettere l’identità e i valori di un’organizzazione. “Si tratta di un meccanismo simile a quello della fotografia; tempo fa c’erano i fotoreporter che realizzano servizi fotografici per le aziende. Così l’arte diventa uno strumento che viene utilizzato per raccontare l’azienda”, afferma Matteo Fantoni, consulente di comunicazione aziendale.

Si tratta di progetti che hanno una doppia funzione: coinvolgere le persone all’interno e portare la narrazione verso l’esterno (dell’azienda). “Se l’esperimento riesce, da una parte stimola il senso di appartenenza dei lavoratori ed è un modo per loro di riconoscersi e ritrovarsi nel contesto organizzativo; dall’altra è un mezzo per raccontare la propria realtà all’esterno”, prosegue l’esperto. Ma può essere anche uno strumento tramite cui le persone raccontano se stesse: “Oggi si fa sempre più fatica a descrivere ciò che si fa; un film è anche un modo per comunicare in modo efficace. Talvolta le parole non sono in grado di esprimere appieno determinate situazioni”. È dall’esigenza di trasferire esperienze, sensazioni, stati d’animo che nasce l’attività artistica.

L’elemento umano, in questo contesto, è distintivo. Lo si percepisce da un esempio che propone Fantoni: “È stata complessa, e pure interessante, la realizzazione di un documentario di un gruppo francese per cui lavoravo che si occupava di efficienza energetica; l’unico aspetto comunicativo dell’azienda erano dei grandi tubi; ecco perché era necessario coinvolgere le persone”. Al tempo era in vigore la progettazione di un sistema sofisticato a Palazzo Grassi di Venezia che permetteva di ridurre i consumi: l’obiettivo era quello di filmare i lavori. “Riprendere soltanto le tubature non sarebbe stato abbastanza entusiasmante… Così sono stati coinvolti due operai veneziani, creando una storia per raccontare il ‘dietro le quinte’ del progetto”, rivela Fantoni. Le persone al lavoro – insieme con la location suggestiva – hanno contribuito a rendere il filmato più attrattivo agli occhi del pubblico.

Coniugare le esigenze comunicative con la produzione video

Il punto critico è come coniugare le esigenze della comunicazione aziendale con quelle della produzione di un film. Come spiega l’esperto, il punto di incontro tra i due mondi non è scontato: “È difficile raccontare – in modo puntuale e con le giuste parole – ciò che si vuole trasmettere; ecco perché può succedere che la trasposizione cinematografica non corrisponda alle aspettative”. Proprio per questo motivo, è utile lasciare spazio alla creatività artistica che si cela dietro la produzione di un film: “Se non si sfrutta al massimo la potenzialità degli strumenti, il rischio è che l’output sia un prodotto didascalico, che non ha un respiro propriamente artistico. Affinché non si realizzi uno spot da parte dell’azienda, bisogna lasciare autonomia al regista o a chi si incarica di produrre il video”.

Come ha fatto notare lo stesso Fantoni, spesso si è legati alle proprie attese e al desiderio che la traduzione artistica sia il più verosimile possibile a ciò che ci si immagina; ma non bisogna dimenticare che la fiducia da parte dell’azienda nei confronti del produttore è una parte essenziale del processo creativo: “Risulta centrale la capacità di trasmettere i temi fondamentali, ma poi è necessario affidarsi al regista o a chi produce, con una consapevolezza: il dubbio su come sarà il prodotto finale rimane”.

Il messaggio che si vuole trasmettere, dunque, è ciò su cui bisogna focalizzarsi. Fantoni, a questo proposito, fa un esempio: “Novartis, multinazionale che opera nel settore farmaceutico ha realizzato un video per parlare di ricerca; in realtà, la trama non è tanto legata alle attività di laboratorio, come ci si può immaginare, ma al concetto di ‘sguardo al futuro’; si tratta della storia del rapporto tra madre e figlio, di affetti ed emozioni, di perdita e riconquista. In questa narrazione, la ricerca simboleggia il futuro in ottica di speranza, facendo leva sulle emozioni dello spettatore: “È un modo interessante di comunicare; da questo punto di vista il film, quindi, esce dalla cerchia degli ‘addetti ai lavori’, diventando uno strumento che colpisce un pubblico più ampio”.

La narrazione cinematografica è una fonte di trasmissione di valori che evoca immaginari alternativi e abitua a riconoscere il punto di vista altrui (talvolta, anche a identificarsi con esso). E, nel raccontare storie professionali, nobilita il lavoro delle persone.

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Federica Biffi

Laureata magistrale in Comunicazione, Informazione, editoria, classe di laurea in Informazione e sistemi editoriali, Federica Biffi ha seguito corsi di storytelling, scrittura, narrazione. È appassionata di cinema e si interessa a tematiche riguardanti la sostenibilità, l'uguaglianza, l'inclusion e la diversity, anche in ambito digital e social, contribuendo a contenuti in siti web. Ha lavorato nell'ambito della comunicazione e collabora con la casa editrice ESTE come editor e redattrice.

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