La contrattazione collettiva in Italia
A partire dagli Anni 90 – e in maniera più decisa, in seguito alla crisi economica e finanziaria del 2008 – il decentramento della contrattazione collettiva è stato promosso in Italia allo scopo di aiutare le aziende a competere in mercati sempre più complessi e globalizzati. Nell’agosto del 2011 fu addirittura la Banca centrale europea, in una lettera indirizzata all’allora Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, a sollecitare una riforma della contrattazione collettiva nel nostro Paese, nella direzione di permettere agli accordi aziendali di adattare salari e condizioni di lavoro alle specifiche esigenze, accrescendone la rilevanza rispetto agli altri livelli di contrattazione.
Coerentemente, il secondo livello negoziale – già riconosciuto istituzionalmente nel protocollo Giugni del 1993 – veniva in quegli anni ancor più incoraggiato, attraverso l’introduzione di incentivi fiscali per la contrattazione decentrata di schemi retributivi variabili, nonché con il sostegno alla contrattazione ‘di prossimità’ (ex art. 8, Legge 148/2011), abilitata a derogare, pur nel rispetto di alcuni limiti e condizioni, ai contratti collettivi nazionali di settore e alla legislazione.
Nello stesso decennio, anche l’ordinamento intersindacale promuoveva un processo di decentramento organizzato, consentendo alla contrattazione di secondo livello di raggiungere intese modificative, anche in senso peggiorativo, di alcuni standard settoriali, purché quegli stessi accordi venissero approvati dalle organizzazioni sindacali di categoria. Così, in modo inedito, veniva ad affermarsi, per la regolazione pattizia degli assetti della contrattazione collettiva, il principio della deroga, accanto a quelli tradizionalmente in uso della delega e del ne bis in idem. E si delineava, quindi, un cambiamento significativo nel sistema italiano di relazioni industriali.
Dopo oltre 10 anni dall’adozione di quei provvedimenti, il progetto di ricerca Comparisons in decentralised bargaining: towards new relations between trade unions and works councils (Codebar) si propone di verificare se, e in che misura, il modello di decentramento organizzato, delineato dalle parti sociali negli accordi interconfederali e nei contratti nazionali di settore, sia applicato anche a livello aziendale. Oltre alla rassegna documentale e all’analisi dei contenuti delle principali disposizioni legali, dei contratti collettivi e della giurisprudenza sul tema, il rapporto prodotto sul contesto italiano ha implicato anche analisi di caso settoriali, rispettivamente sui sistemi contrattuali del metalmeccanico, dell’elettrico e della distribuzione cooperativa. Per ogni settore, è stato, inoltre, condotto un caso studio aziendale, attraverso interviste semi-strutturate a rappresentanti di impresa e dei lavoratori e a sindacalisti territoriali e/o nazionali operanti nelle realtà considerate.
Tra i risultati preliminari della ricerca documentale e delle analisi di caso, emerge uno scenario negoziale particolarmente frammentato. Benché, infatti, l’articolazione multilivello della contrattazione collettiva abbia trovato espressione e conferma in tutti i principali modelli contrattuali (fino a oggi), il grado e l’estensione della sua effettiva implementazione variano in relazione al settore analizzato e soprattutto, alla dimensione d’impresa. In questo senso, sembrerebbe ammissibile delineare, per il nostro Paese, due distinti scenari di contrattazione collettiva, anziché di un unico sistema.
Per informazioni sull’acquisto o sull’abbonamento alla rivista scrivi a daniela.bobbiese@este.it (tel. 02.91434400)
Research Fellow di Adapt
contrattazione collettiva, ccnl