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La disconnessione è un diritto, ma serve senso di responsabilità

La prima a parlare –e a legiferare– sul principio di disconnessione è stata la Francia, da sempre all’avanguardia in tema di diritti dei lavoratori. Era il 2016, e la Loi du Travail (legge del lavoro), entrata poi in vigore nel gennaio 2017, prevedeva che le aziende con un numero di collaboratori superiore a 50 si accordassero con i sindacati per decidere le modalità di disconnessione dei propri dipendenti. Inoltre, con il documento si stabiliva anche che ai lavoratori non potessero essere inviate mail, messaggi o telefonate fuori dell’orario di lavoro.

Si è arrivati a legiferare su questo tema, perché l’evoluzione tecnologica, negli ultimi anni, si è estesa a macchia d’olio anche agli ambiti dell’organizzazione aziendale. Tramite computer, tablet, laptop, smartphone e tutti i device che ci mette a disposizione la tecnologia più evoluta, è possibile, infatti, restare connessi in modo continuo, non solo con familiari e amici, ma anche –e soprattutto– con i propri colleghi e datori di lavoro.

In questo modo, però, rischia di crearsi un circolo vizioso, dove il lavoratore non riesce mai totalmente a ‘staccare la spina’, con conseguenze pesanti anche sull’equilibrio e sullo sviluppo di patologie da stress e burnout.

Messaggistica istantanea, email, chat in tempo reale possono arrivare (se non gestite adeguatamente) a ‘imprigionare’ la persona in un contesto lavorativo virtuale, dove bisogna essere sempre vigili, reperibili e connessi. E non importa se l’orario lavorativo è terminato. L’Italia, su questo tema, è stata meno virtuosa della Francia, e nel nostro Paese non esiste ancora una vera e propria legge che disciplini il diritto alla disconnessione dei lavoratori dipendenti.

Bisogna dire, però, che sempre più aziende sono attente a questo tema e provano a inserire nei loro contratti di lavoro norme che lo regolino. Già nella legge sul lavoro agile (2017) si diceva che “nel rispetto degli obiettivi concordati e delle relative modalità di esecuzione del lavoro autorizzate dal medico del lavoro, nonché delle eventuali fasce di reperibilità, il lavoratore ha diritto alla disconnessione dalle strumentazioni tecnologiche e dalle piattaforme informatiche di lavoro senza che questo possa comportare, di per sé, effetti sulla prosecuzione del rapporto di lavoro o sui trattamenti retributivi”.

Un primo accenno, non ancora completo, che spinge però verso soluzioni intermedie, ovvero accordi stipulati tra le aziende e i lavoratori, che variano quindi di situazione in situazione. Persone&Conoscenze ha quindi coinvolto alcuni HR Manager per capire il loro punto di vista su questo tema.

Imparare a gestire l’iperconnessione

Fausto Fusco, Chief HR Officer di Bip – Business Integration Partners, spiega che a oggi nell’azienda di consulenza non esistono regole specifiche nei contratti, ma sono presenti sia una social media policy sia delle linee guida sull’uso corretto degli strumenti aziendali. “Oggi è difficile parlare di work-life balance perché, soprattutto chi ha ruoli di responsabilità, è sempre connesso”, osserva Fusco.

“Ma è importante non diventare schiavi di questi device, imparando a gestire le varie situazioni. Certamente lo sa fare meglio chi ha più esperienza, mentre i giovani hanno la tipica ‘ansia da prestazione’ e spesso sentono di dover mostrare che rispondono sempre, anche se ciò fa aumentare il loro stress”.

Secondo il manager di Bip bisogna “lavorare su se stessi e sugli altri, riflettendo su come si utilizzano certi strumenti, come email e chat, perché bastano piccoli accorgimenti per evitare lo stress”. A riguardo, Fusco porta la sua testimonianza personale: “Disattivare la suoneria o le notifiche è qualcosa che può aiutare, così sono io a scegliere come gestire i tempi e quando controllare il telefono”.

Altra soluzione, secondo il manager, potrebbe essere “educare i nostri interlocutori, a partire dai colleghi, evitando di rispondere alle mail dopo una certa ora, senza bisogno di spegnere il cellulare, rimanendo in questo modo reperibili soltanto per le chiamate, che devono avere un reale carattere di emergenza”.

La chiave è quindi “capire quali sono le vere priorità e le urgenze assolute”. In conclusione, secondo il manager di Bip, “ben venga la disconnessione, se ciò significa avere un atteggiamento ‘sano’ e imparare a utilizzare in modo saggio gli strumenti aziendali”.

L’articolo integrale è pubblicato sul numero di novembre 2019 di Persone&Conoscenze.
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cultura del welfare, disconnessione, social media policy, stress lavoro correlato, work life balance

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