La gestione delle persone nell’era Covid, tra emergenza e opportunità
Sono quasi due anni da quando il Covid-19 ci ha travolti, piegati e, in alcuni casi, spezzati. Una cosa è certa – è ormai uno slogan – nulla sarà più come prima. E dietro questo statement non c’è solo la mesta constatazione di un popolo (meglio ancora di una specie), di aver irreversibilmente perso cari, attività economiche e sogni, ma anche che nei momenti di difficoltà l’essere umano riesce, gioco-forza, a evolversi e, in un modo o nell’altro, a trovare una via per riemergere dell’abisso.
Nel pieno della pandemia, molte aziende hanno necessariamente dovuto ripensare profondamente ai propri obiettivi, ma soprattutto alle modalità con cui raggiungerli e a come gestire l’asset più importante – l’unico vero da cui ripartire – le proprie persone. Paradossalmente, da qui il senso della parola “evoluzione”, hanno scoperto come: efficientare processi; snellire procedure e remotizzarne il controllo; continuare ad avere una squadra, rispetto ai risultati, pur giocando ciascuno da casa propria. La lezione che molti di noi hanno imparato è che il cambio di passo, dettato dall’emergenza, si è rilevato, in molti casi, utile a prescindere ed è stato come la febbre nei bambini, cioè quello ‘scatto di crescita’ che ci serviva avere. Ecco perché nulla sarà più come prima.
Mi piace guardare il bicchiere mezzo pieno. E allora, provocatoriamente, mi chiedo: se la pandemia ci avesse investito negli Anni 80 o agli inizi degli Anni 90, come sarebbe stato? Non c’era internet – almeno non in modo così capillare – né in azienda né tanto meno in casa; non c’era banda larga e la parola “fibra” poteva evocare, al più, solo il cotone. In altri termini 30 anni fa lo Smart working, con una connessione in dialup, non sarebbe stato applicabile, generando quindi conseguenze ancora più disastrose per la nostra economia e, più in piccolo, per ciascuno di noi.
È un paradosso, ma è utile per comprendere che in quel bicchiere mezzo pieno c’è tutta la tecnologia e il progresso scientifico degli ultimi tre-quattro decenni che ci ha permesso, pur piegati, azzoppati e sfigurati dal danno che ci ha provocato, di opporre alla pandemia la forza della vita, rimanendo uniti, seppur divisi.
Proseguire il business oltre i confini aziendali
Naturalmente non per tutti i settori dell’economia, la tecnologia ha saputo sempre trovare risposte efficaci e in alcuni casi migliorative. Il digital workplace – il modello operativo che consente a una azienda di continuare a produrre opportunità di business, prodotti e relazioni con clienti, pur senza uno spazio fisico istituzionale in cui portare avanti le attività – è stato per molti l’unica scelta evolutiva possibile per affrontare questo periodo. La tecnologia, in questo contesto, è stato il principale mezzo abilitante.
E così, per esempio, grazie alla banda larga e alle video conferenze, molte aziende hanno convertito le proprie attività di marketing presenziali in webinar. Le attività formative sono state prevalentemente erogate in modalità remota, online o in differita. Meeting operativi, di pianificazione e controllo sono stati sostituiti da meeting virtuali, via piattaforme digitali, con cui mantenere il contatto visivo con tutti i partecipanti (cosa impensabile fino a qualche anno fa). E in questo esercizio forzato dalla pandemia, abbiamo scoperto che molti processi, prima cartacei, possono essere digitalizzati; che molti costi di trasferta possono essere abbattuti, sostituendo meeting in presenza con altrettanti meeting online; che è possibile aumentare il focus su attività di maggiore valore aggiunto evitando dispersioni causate da un modo troppo analogico di interpretare l’esercizio delle proprie mansioni.
Il digital workplace mette alla prova manager e professional
Il digital workplace è, tuttavia, più complicato di come lo si vuol raccontare, in realtà. Non si tratta solo di orario flessibile, fare riunioni via Teams e corsi online invece che in presenza. Ciò che rende un’azienda unica, a partire dalle sue persone e dai team che su di esse si compongono, è anche l’intesa, il sincronismo, la leadership e la motivazione. Come pensate che la nostra squadra di staffetta maschile possa essere riuscita a bruciare i suoi competitor all’Olimpiade di Tokyo 2020? È difficile spiegare, ma l’errore che non si deve correre è quello di pensare che il successo di un’organizzazione, ottenuto attraverso quello dei singoli dipendenti, possa fare a meno di dinamiche che è molto più complicato proporre in un contesto di digital workplace. Dinamiche che hanno a che fare con persone, sentimenti, aspirazioni passione.
Riuscirebbe un manager a infondere nel personale dell’azienda l’entusiasmo di una nuova sfida, a condividere una nuova visione e un nuovo piano industriale, con un meeting via Teams altrettanto bene come farebbe in presenza? E ancora: è possibile che il percorso di onboarding di un neoassunto ai tempi del Covid-19 possa essere ugualmente motivante, coinvolgente e adrenalinico senza che ci si possa incontrare con i colleghi di persona, che si possa condividere un caffè e parlare un po’ di sé? Proprio questo secondo esempio è rappresentativo della sfida del digital workplace: una new entry, che non ha ancora il background esperienziale e la familiarità con procedure, persone e valori, riuscirà a muoversi in sintonia con gli altri, ma anche in autonomia ed essere performante una volta completato il percorso di ingresso (virtuale) in azienda?
L’aspetto della socialità e del condividere gli stessi spazi fisici è, per alcuni, una condizione necessaria per ricevere input, avere momenti di riscontro o conferme rispetto ad alcune scelte fatte. È una questione anche legata a caratteristiche individuali, come la leadership, o, a livello di esperienza e di anzianità, il saper cogliere o meno l’opportunità di avere maggiore delega e autonomia nella gestione del tempo e di alcune decisioni. Mantenere le risorse umane unite, allineate a obiettivi chiari e raggiungibili e, soprattutto, motivate e sempre coinvolte in decisioni e strategie è stata – e sarà sempre – la sfida probabilmente più complessa delle aziende del digital workplace.
La tecnologia come supporto del new normal
Con quali mezzi la tecnologia ha saputo rispondere a tali sfide? Molti studi constatano come lo stato psicofisico dell’individuo condizioni significativamente la sua performance. Il feedback continuo è una delle risposte per la cura dell’aspetto motivazionale delle risorse umane in azienda. E ad abilitarlo è proprio la tecnologia. Si pensi alle tradizionali dinamiche organizzative tra responsabile e dipendente, tra mentore e new starter, tra capo progetto e membro del team e alle difficoltà tecniche, come pure di natura psicologica, di mantenere le fila e non lasciare nessuno indietro nell’era del lavoro da remoto e delle incertezze.
La survey è tradizionalmente declinata al proprio interno, e non solo, per profilare clienti, utenti e opportunità, ma è anche l’occasione per ‘guardarsi dentro’ e capire come migliorare processi, infrastrutture e nuove modalità di lavoro. Ecco perché è stata, in molti casi, una scelta necessaria per molte aziende. Non solo ha consentito di rilevare in tempo reale problematiche cui poter dare un seguito operativo ma, soprattutto, ha permesso di lanciare una fune a tutti i marinai in mare e di tenerli uniti all’imbarcazione; ha dato voce a tutti e li ha fatti sentire importanti, non dimenticati, unici.
Cavalcando la stessa aspettativa, alcune aziende, già in tempi pre Covid-19, si sono attrezzate con strumenti di feedback estemporaneo e informale tra colleghi, come riconoscimento di competenze, ringraziamenti o attestazioni di risultati raggiunti. Funzionano come post social, sono facili da distribuire, sono compatibili con qualsiasi dispositivo connesso alla Rete e, normalmente, non seguono particolari regole (del tipo: chi può o non può dare feedback a chi; oppure chi ne deve ricevere la notifica…). Con questo mezzo si attiva una meccanica spontanea e psicologicamente motivante per tutti, che così sanno di poter ricevere la visibilità che meritano, in modo meritocratico.
Al feedback continuo, alcuni affiancano dinamiche di gamification, con possibilità di attribuire badge o score in funzione di feedback positivi ricevuti da altri colleghi. Come si è detto, da un punto di vista motivazionale, questo strumento ha acquisito ancora maggiore interesse in regime di Smart working, amplificando dinamiche e comportamenti individuali virtuosi, aumentandone al massimo l’eco, nonostante non si condividano appunto gli stessi spazi lavorativi.
La riscoperta della formazione online
La tecnologia ha permesso di far fronte anche ad altri aspetti diventati la nuova normalità nel digital workplace. Il tempo della crisi ha, infatti, sviluppato un nuovo Dna nei lavoratori, capaci oggi di compensare in autonomia la mancanza di competenze e di conoscenze necessarie al compimento di attività assegnate e di obiettivi. In assenza dei colleghi alla scrivania di fronte ai quali chiedere o della tradizionale formazione in aula, dotare ciascuna persona di ogni canale possibile per raggiungere, senza bisogno di aiuto, le informazioni necessarie all’espletamento delle proprie mansioni è stata una delle prerogative fondamentali di molte aziende.
Per abbattere gli inutili silos di conoscenza, le imprese hanno così riscoperto il potere della formazione online, degli eventi formativi in virtual classroom e delle micro-pillole formative, accessibili con funzioni di ricerca per tag, tema oppure competenza fornita. Questa nuova tendenza alla formazione bottom up, interpreta perfettamente un bisogno di pragmaticità anche nelle scelte formative; la formazione non è fine a se stessa, non è uno step comandato di un percorso di sviluppo o un’iniziativa suggerita a valle di un assessment (almeno non è solo questo). Può essere un’iniziativa spontanea per rispondere a una necessità specifica. Una delle caratteristiche del digital workplace è proprio quella di destrutturare alcuni flussi di informazione a favore di una maggiore efficacia ed efficienza.
Ma se passare contenuti e informazioni attraverso un web meeting è cosa semplice, quello che è complicato replicare è mantenere il livello di attenzione, assicurare il coinvolgimento da parte di tutti e generare un buon livello di interazione da parte di persone che non sono abituate al mezzo digitale. La Programmazione neuro linguistica – la scienza che studia le tecniche di comunicazione efficace in particolare nell’esposizione in pubblico – dimostra che fare meeting veramente efficaci, che siano con clienti, prospect, studenti o colleghi, non è solo questione di chi parla, chi ascolta e di contenuti da condividere o illustrare: hanno grande importanza gli sguardi, le pause, i toni di voce, la capacità di leadership, d’ispirazione e d’interazione.
Qui l’esercizio si fa più complesso e molte aziende che, per esempio, hanno sperimentato l’uso di iniziative di marketing online in sostituzione di eventi in presenza hanno testimoniato che una delle difficoltà principali è stata proprio quella di tenere i partecipanti attivamente coinvolti. La tecnologia, come spesso accade, qui si ferma al fattore abilitante e non fornisce risposte che risiedono piuttosto nella capacità dei singoli di saper comunicare con altrettanta efficacia anche sui mezzi digitali. Chiediamolo anche ai tanti insegnanti che tra il 2020 e il 2021 hanno condotto le loro lezioni in Didattica a distanza; chiediamo loro quanto sia stato difficile catapultarsi in questa nuova dimensione e quanto sia stata dura essere mentori per gli alunni, in particolare a quelli all’inizio del loro percorso scolastico (i bambini al primo anno di scuola elementare possono essere considerati al pari dei new starter in azienda, costretti all’onboarding digitale).
Imparare anche dalle crisi peggiori
Ora sappiamo che la campagna vaccinale anti Covid-19, in Italia e all’estero, sta producendo gli effetti di contenimento sperati e assistiamo alla riduzione delle persone ricoverate in terapia intensiva, nonostante un recente nuovo aumento di casi e alcuni lockdown in giro per il mondo (è il caso della Cina).
Quel che è certo è che la pandemia ha portato le aziende (e non solo) a sperimentare con mano i benefici di un nuova visione del mondo, prima di tutto, e poi del lavoro, del team, della comunicazione, della condivisione e della formazione. Ci ha fatto raggiungere il limite di noi stessi, ma allo stesso tempo ci ha fatto intravedere nuove opportunità nel modo di formarci, nella gestione delle gerarchie, nella pianificazione del tempo e nell’uso sapiente della tecnologia per focalizzarci meglio su ciò che è più redditizio. Quello che inizialmente sembrava una misura emergenziale si è rivelata una nuova risorsa al servizio del mondo del lavoro post pandemia. In un modo o nell’altro, nulla sarà più come prima.
Fabio Cardilli è il Product Manager di Gruppo sull’offerta Human Capital Management di Talentia Software, con responsabilità su product envisioning e posizionamento, generazione requisiti multi country, macro design, supporto alle operazioni di marketing e prevendita. Laureato in Scienze dell’Informazione presso l’Università degli Studi di Bari, lavora da più di 20 anni nel settore IT, proponendo l’uso della tecnologia e di soluzioni innovative a servizio della valorizzazione del capitale umano e della semplificazione dei processi HR.
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