La grande resa sulla tassa globale
Quasi unanimi in Italia e nel mondo sono state le grida di giubilo: “Con le decisioni di Biden è finita l’epoca d’oro del liberismo”. Ma quale fine? Come è noto, si tratta di un’imposta societaria minima globale di almeno il 15%. Il Presidente Usa Joe Biden ne ha parlato nel corso di una riunione dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse). Si sa anche che l’aliquota è notevolmente inferiore al minimo proposto dall’Unione europea, che l’aveva fissata al 21%.
Il segretario al Tesoro Usa Janet Yellen parla della tassa minima globale come “sistema equo” per far partecipare le multinazionali alla creazione di valore nei singoli Stati e per evitare la concorrenza sleale tra imprese sottoposte a regimi fiscali disomogenei. La mossa di Biden appare come uno spiraglio in una condizione economica e finanziaria globale che subiamo ormai da un quarantennio. Ma in realtà è il trionfo del liberismo. È la sanzione finale. La resa.
Le grandi case digitali sono intoccabili. Barbagrazia che lascino qualche briciola di più al Fisco. In un Paese o in un altro. I big dell’hi-tech sanno di aver tirato la corda al massimo e hanno deciso di mollare qualcosina. In realtà, silenziosamente ringraziano. Se si crede che i Governi e i Parlamenti si muovano sull’onda della pubblica indignazione, ci sbagliamo. Se si crede che mettano al primo posto le esigenze di bilancio – in una stagione di necessari interventi pubblici come quella che viviamo – ci sbagliamo ugualmente. La decisione della Casa Bianca è segno che più della volontà dei cittadini e delle stesse esigenze conta la pressione esercitata dalle lobby delle stesse grandi case digitali.
Servono politiche pubbliche all’altezza delle nuove sfide
Le politiche economiche pubbliche non possono andar contro con queste potenze extraterritoriali, che trattano da pari a pari – quando non da posizione dominante – con gli Stati stessi. Del resto i nomi dei lobbisti sono noti. Basta citarne uno: Eric Schmidt, storico ex CEO di Google, già finanziatore delle campagne di Barack Obama e di Hillary Clinton, Consulente governativo per le politiche digitali e attuale Presidente della National Security Commission on Artificial Intelligence.
Chi volesse, del resto, potrebbe dare un’occhiata alle politiche antimonopolistiche negli Stati Uniti. La legge Sherman Antitrust Act esiste dal 1890. Il Presidente William Howard Taft, conservatore, applicò la legge nel 1911 contro la Standard Oil, che fu smembrata. In tempi più recenti Ronald Reagan la utilizzò contro la Bell (American Telephone & Telegraph Company, AT&T). Nel 2000, ai tempi di Bill Clinton, l’ultimo caso: il legame tra il sistema operativo Windows con il browser Internet Explorer è stato sanzionato come lesivo dei diritti dei concorrenti. Si trattava certo di un abuso di posizione dominante; ma minuscolo rispetto a casi avvenuti negli ultimi 20 anni.
Nel 1994 Jeff Bezos ha fondato Amazon. Nel 1998 è nata Google. Il patto tra nuove imprese digitali e finanza speculativa si è consolidato. Mancano le politiche pubbliche all’altezza della sfida. Ed eccoci ora a inneggiare a un misero 15% di imposizione fiscale.
Articolo a cura di
GuastafEste
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