La guerra di Brunetta allo Smart working (e ai Baby boomer)
Accanto alla tragedia, la pandemia ha portato con sé alcuni insospettabili vincitori. I QR code, per esempio, che da strumento in declino – almeno nel mondo consumer – grazie a Green pass e menù virtuali dei ristoranti stanno vivendo una nuova vita. Ma vale pure per lo Smart working, seppur sia ancora inteso più come lavoro da casa che come modalità di organizzazione intelligente della prestazione lavorativa (d’altra parte, come ha spiegato proprio su Parole di Management Francesco Rotondi di Lablaw, il lavoro subordinato in Italia si basa su contratti di lavoro secondo i quali si retribuiscono le ore lavorate a prescindere dagli obiettivi raggiunti).Il lavoro agile è stato la ‘salvezza’ di aziende e dipendenti durante i mesi di lockdown e i successivi periodi del picco dell’emergenza sanitaria, tornando così a essere argomento di discussione e trovando finalmente un proprio meritato protagonismo tra le modalità di lavoro del XXI secolo.
Nonostante alcune voci fuori dal coro, la diffusione dello Smart working sta dimostrando come il lavoro ibrido abbia ormai una percezione precisa. Che non per forza riflette quella della classe dirigente, che, dopo avere scoperto questa grande innovazione organizzativa, sembra ora considerarlo al pari di una concessione extra ai lavoratori che, tuttavia, non potrebbe mai sostituire l’efficienza dell’ufficio.
Per esempio, il Ministro per la Pubblica Amministrazione Renato Brunetta ha rotto gli indugi spiegando di recente che nella Pubblica amministrazione non verrà eliminato, ma resterà per una quota pari al 15% (con buona pace del Piano organizzativo del lavoro agile 2021-23 che puntava proprio sullo Smart working per potenziare l’efficienza della Pa). Dalle dichiarazioni del Ministro è emersa però soprattutto l’urgenza di tornare in presenza. “Dei 3,2 milioni di dipendenti pubblici, gran parte ha continuato a lavorare sempre in presenza. La sanità, le forze dell’ordine… La scuola sta per ripartire. Adesso è bene che anche tutti gli altri tornino, per sostenere la ripresa del Paese”. Insomma, Brunetta ha svelato come in fondo il lavoro ibrido sia realmente considerato e si preferisca il ritorno alla presenza, vista come lavoro vero e legittimo.
Il lavoro ibrido è più appetibile rispetto allo Smart working
Eppure sono diverse le ricerche che hanno recentemente evidenziato come lo Smart working sia a tutti gli effetti un nuovo modo di intendere il lavoro e la vita in generale (se applicato in modo corretto da entrambe le parti). Prendiamo il report The age of agile HR, Alight Solutions, azienda di consulenza in ambito Risorse Umane: secondo la ricerca, solo il 10% degli intervistati è contrario al ritorno in ufficio (sottolineando quindi una visione positiva della socialità aziendale e del contatto umano), ma allo stesso tempo il 65% degli stessi è ben disposto a combinare il lavoro in presenza con quello da casa. Lo Smart working – soprattutto quello legato a motivi emergenziali – non è considerato come la soluzione definitiva per le organizzazioni del futuro. Piuttosto, il lavoro ibrido, che permette di combinare le ore alla scrivania con quelle da casa, potrebbe diventare presto una prassi condivisa.
Quasi a sorpresa, visto che si parla spesso dei Millennial e della Gen Z come i più interessati allo Smart working, a quanto pare i sostenitori più forti del lavoro ibrido sono i Baby boomer. I lavoratori con più di 40 anni, con figli grandi, genitori anziani, e magari prossimi alla pensione, sono quelli ad avere apprezzato maggiormente l’equilibrio offerto dalla possibilità di organizzare il lavoro da casa e in ufficio. Equilibrio che non può più essere garantito dalla timbratura del cartellino e dall’orario di lavoro (inflessibile).
Per Marco Dell’Uomo, Italy Country Leader di Alight Solutions, la cosiddetta generazione “sandwich” (quella schiacciata da una parte dalla cura dei figli e dall’altra dalla cura dei genitori) è quella che rimpiange di aver dato priorità al lavoro prima che alla famiglia. “Negli ultimi tre decenni, nei luoghi di lavoro è prevalsa la convinzione secondo cui il lavoratore che entra per primo in ufficio e ne esce per ultimo è il più meritevole di successo; oppure che più sono lunghe le giornate lavorative e più brevi le ferie, maggiore è la dimostrazione di lealtà del dipendente. L’imperativo del presenzialismo è stato la causa di un generalizzato clima di stress lavorativo, cui bisogna porre fine”.
Oltre a considerare positivamente la possibilità di lavoro ibrido, i Baby boomer hanno un potere decisionale in azienda non indifferente. Ecco perché la loro opinione non è passata inosservata. Come ha fatto notare lo stesso Dell’Uomo, è soprattutto la fascia d’età superiore ai 50 anni quella che sembra condizionare maggiormente le aziende: “Attualmente rappresenta la forza lavoro con le competenze, l’esperienza e la proprietà intellettuale necessarie alle organizzazioni per rinnovarsi e crescere; mentre le nuove generazioni iniziano ad affiancare il loro contributo, apportando il know how digitale necessario a far avanzare le imprese nel futuro”.
Integrare i talenti e cavalcare la trasformazione digitale
Da questa premessa diventa chiara la strategia che le aziende dovrebbero quindi mettere in pratica. “L’unico modo per stabilire il giusto equilibrio tra lavoro e vita privata è attraverso continui sondaggi d’opinione tra i dipendenti”, suggerisce Dell’Uomo. Solo in questa maniera i datori di lavoro possono avere un quadro reale rispetto al benessere dei propri dipendenti, della loro soddisfazione e del loro ingaggio.
Per esempio anche affidandosi ai nuovi sistemi HR innovativi e tecnologici: “Grazie alla immediata disponibilità di dati organizzativi resa possibile dai moderni sistemi HR, è sorprendentemente facile analizzare l’umore e la soddisfazione del personale in un determinato momento”, sostiene il manager. “Per le realtà che intendono crescere nel futuro, questi sistemi faranno la differenza tra le aziende destinate ad una grande crescita e quelle che si limiteranno alla sopravvivenza”.
Il tutto anche in considerazione della trasformazione digitale che sta vivendo il mondo del lavoro. “Anche se nel 2021 i dipendenti potrebbero essere chiamati a tornare in ufficio, prevedo che si imporrà una nuova tendenza nei prossimi tre-cinque anni”, ha ipotizzato Dell’Uomo. “Con il rinnovo dei contratti di locazione e con la crescente integrazione di soluzioni automatizzate e cloud nel mondo del lavoro, la presenza dei dipendenti nelle sedi centrali sarà meno necessaria. La richiesta del lavoro in presenza impone infatti standard retributivi commisurati ai costi che i dipendenti devono sostenere per vivere nelle grandi città. Oggi però i talenti di tutto il mondo possono essere integrati facilmente in qualsiasi realtà grazie al lavoro da remoto e molte aziende sceglieranno di beneficiare di questa nuova disponibilità”.
Sara Polotti è giornalista pubblicista dal 2016, ma scrive dal 2010, quando durante gli anni dell’Università Cattolica del Sacro Cuore (facoltà di Lettere e Filosofia) recensiva mostre ed eventi artistici per piccole testate online. Negli anni si è dedicata alla critica teatrale e fotografica, arrivando poi a occuparsi di contenuti differenti per riviste online e cartacee. Legge moltissimo, ama le serie tivù ed è fervente sostenitrice dei diritti civili, dell’uguaglianza e della rappresentazione inclusiva, oltre che dell’ecosostenibilità.
Pubblica amministrazione, lavoro da remoto, brunetta, Baby boomer