La mission vince sui costi
Il modo in cui ogni azienda considera il contributo del lavoro umano è un elemento identitario molto forte e caratterizzante. In ambito gestionale il ruolo del personale è interpretato, in questa fase storica, con sempre maggiore creatività e innovatività. L’evoluzione delle teorie aziendalistiche e organizzative – che devono rispondere a concrete esigenze – porta a sviluppare modelli in cui trovano spazio rilevante gli aspetti di coinvolgimento e valorizzazione delle persone. E sotto questo profilo stiamo vivendo una fase molto intensa e trasformativa della funzione HR.
I sistemi contabili codificati dagli standard internazionali non possono però prescindere dal considerare il contributo del lavoro umano in termini di costo del personale, con implicazioni determinanti e ineludibili sia per la gestione strategica dell’azienda sia per la definizione del quadro in cui si inserisce il mandato della funzione Risorse Umane che, in ultima istanza, è chiamata a gestire un budget di costi. Il fatto che nei bilanci contabili la traccia del lavoro umano sia essenzialmente concentrata in una voce di costo limita la possibilità di comprensione e analisi e impedisce di esprimere e ‘far vedere’ compiutamente il contributo positivo fornito e le concrete modalità in cui ciò avviene.
È quindi presente una tensione, una contraddizione, tra la concreta attività gestionale, che continuamente è costretta a riscoprire e ridefinire il ruolo essenziale del lavoro umano e la rendicontazione aziendale, che risulta determinante nella percezione e valutazione delle performance. L’esperienza ci mostra che da questa tensione possono nascere scelte strategiche non adeguate e potenzialmente rischiose per la stabilità aziendale, come quelle di esasperata esternalizzazione produttiva.
Per il bene stesso delle aziende – e per consentire alle varie funzioni di responsabilità aziendale di interpretare il proprio ruolo in modo adeguato e coerente – si avverte la necessità di comprendere, testimoniare, rendicontare in modo sostanzialmente diverso il contributo del lavoro umano.
Il condizionamento del paradigma neoliberista
Risulta opportuna una breve contestualizzazione storica. La visione dell’azienda che è stata dominante a partire dalla fine degli Anni 70 ha fatto riferimento al paradigma proposto (e poi imposto) dall’opera dell’economista Milton Friedman e dei suoi numerosissimi e influenti discepoli (la scuola di Chicago). Secondo il fondatore del pensiero monetarista, lo scopo aziendale è ‘semplicemente’ la creazione e la massimizzazione del profitto. Tutto il resto è subordinato al rispetto di questo mandato fondamentale.
Le numerose implicazioni di questa impostazione teorica definiscono il modello economico e sociale neoliberista i cui assunti principali possono essere riassunti in questi termini: le aziende hanno come scopo la massimizzazione dei profitti per gli azionisti; gli amministratori sono vincolati al rispetto di questo scopo e la loro performance è misurabile in relazione ai risultati economici; il mercato è in grado di autoregolarsi (se non ‘disturbato’ dalla politica); la ricchezza prodotta dalle aziende si distribuisce in modo spontaneo al resto della società (l’effetto trickle-down o teoria della goccia); l’azienda non ha altri tipi di responsabilità nei confronti della società – è negato recisamente il valore della CSR – e sarebbe eticamente scorretto ed economicamente controproducente perseguire scopi diversi dalla massimizzazione del profitto.
Misurare l’efficacia e la correttezza – non si può trascurare che la visione neoliberista pretende di avere valore normativo – della gestione aziendale da parte degli amministratori, utilizzando la variabile assoluta del profitto realizzato, è stato un dogma inattaccabile per interi decenni. Questa visione è stata l’ossatura di una narrazione che si è imposta sia negli studi teorici sia nell’orientare scelte di politica economica e sociale di numerosi governi e istituzioni sovranazionali (per esempio il Fondo monetario internazionale). Per quanto riguarda il tema in oggetto, la riduzione neoliberista dei complessi meccanismi di creazione di valore in termini di bottom line, ha indirizzato i sistemi di rilevazione delle performance aziendali e la definizione della mission e delle responsabilità degli amministratori e delle diverse funzioni aziendali.
Le ripetute crisi economiche e finanziarie, con le loro drammatiche conseguenze sociali, hanno reso però inevitabile mettere in discussione la complessiva visione neoliberista e, di conseguenza, anche il ruolo attribuito alle aziende. Si è potuto rilevare che assolutizzare l’attenzione sui profitti (soprattutto in una logica di breve termine) può rappresentare una seria minaccia per la stessa sopravvivenza nel tempo delle aziende, oltre a generare costi umani e sociali non sostenibili.
Le crisi hanno anche messo in luce che spesso, nelle aziende che meglio hanno affrontato le difficoltà, la dimensione umana è stata determinante sotto molteplici aspetti: competenze, commitment, solidarietà. Altri fenomeni di tipo strutturale, quali l’affermarsi della Knowledge economy e la trasformazione dei modelli di business con il prepotente affermarsi del ruolo degli intangible asset (ovvero i beni materiali), hanno, come detto, reso necessario nella prassi il fiorire di modalità diverse e creative nella gestione aziendale e nella considerazione del lavoro umano.
Sembrano perciò essere maturi i tempi per elaborare nuovi modelli interpretativi delle dinamiche aziendali e di rilevazione delle performance. Il mondo della valutazione d’azienda –e dell’industria finanziaria e degli investimenti– è già stato costretto a prendere atto del crescente peso (a volte preponderante) degli intangible asset. Ma non si è ancora affermata pienamente, non è ancora divenuta ‘sentire comune’, la considerazione specifica del lavoro umano all’interno dei meccanismi di creazione di valore.
Ruggero Cantaluppi è laureato in Filosofia. Ha intrapreso una carriera direttiva in diversi istituti bancari, gestito ruoli di responsabilità in ambito di Delibera e Gestione Crediti, Direzione Aree Territoriali, Private Banking, Formazione e Operazioni di finanza straordinaria. È stato partner in diverse società di consulenza italiane ed estere con focus su operazioni di finanza straordinaria e internazionalizzazione delle imprese. Ha partecipato operativamente all’avvio di diverse startup. È co-founder del progetto consulenziale AssettoPMI ed è socio fondatore di Assoetica APS.
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