La pandemia accelera l’obsolescenza delle professioni

Con l’aggravarsi della crisi pandemica, è cresciuto in tutto il mondo il numero di posti di lavoro persi. Solo in Italia, nel 2020, sono stati 444mila. Milioni di lavoratori sono finiti ai margini del mercato del lavoro, senza alcuna certezza circa la possibilità di trovare una nuova occupazione analoga, per competenze e stipendio, a quella persa. È un fenomeno che si verifica spesso durante i periodi di recessione: le aziende che si sono viste costrette a tagliare la forza lavoro nei periodi più difficili si rivolgono poi con più facilità alle tecnologie, nuove o già esistenti, per proseguire l’attività con meno manodopera.

Questa volta il passaggio potrebbe essere ancora più brusco. A spingere i datori di lavoro verso il lavoro automatizzato non c’è infatti soltanto l’ondata di licenziamenti registrata già a inizio pandemia – almeno nei Paesi in cui non si è introdotto un divieto esplicito, come avvenuto in Italia – ma anche il fatto che, laddove le aziende si sono riprese e hanno incrementato di nuovo l’attività, non è sicuro far rientrare sul posto di lavoro un gran numero di persone. Così, anche per rispettare le regole del distanziamento sociale, la tecnologia continua a esser preferita al lavoro manuale.

L’insieme dei due fattori sta rappresentando un grosso incentivo per la svolta tecnologica di molte aziende. Gli imprenditori sono chiamati a capire come produrre di più con meno personale e si affidano sempre più spesso alle nuove tecnologie che permettono una maggiore automazione degli impianti. “Stiamo imparando che la tecnologia può rimpiazzare le persone in misura ancora maggiore di quanto pensavamo”, ha detto in una recente conferenza stampa Jerome Powell, Presidente della Federal Reserve Bank. “Dobbiamo ancora ricordarci delle persone la cui vita è stata sconvolta perché hanno perso il lavoro così come lo conoscevano”.

L’adozione delle nuove tecnologie può portare a una crescita più veloce della produttività – o almeno a un buon rimbalzo – che potrebbe migliorare il potenziale economico delle imprese. Per chi ha perso il lavoro, però, può essere molto difficile trovare una nuova occupazione che richieda le stesse qualifiche e offra soprattutto lo stesso stipendio. In presenza di skill trasferibili, è pensabile lo spostamento verso settori differenti. Per i lavoratori altamente specializzati o con competenze limitate al loro campo di attività, invece, sarà ancora più dura.

Rispetto alle evoluzioni del passato, questa volta non è ancora chiaro quanto estesa sarà la trasformazione in senso tecnologico del mercato del lavoro. Negli Stati Uniti, il tasso di disoccupazione è sceso più velocemente di quanto molti economisti si aspettassero, calando al 6,7% da un picco del 14,8%. In Europa, circa il 55% dei datori di lavoro sul lungo periodo si aspetta di assumere meno dipendenti di quanti avrebbe potuto dopo la pandemia, secondo una survey condotta dalla Banca centrale europea tra 72 grandi imprese europee. In base alla lettura della Bce, questa scelta sembra riflettere il fatto che “le aziende hanno imparato a mantenere la produzione, nonostante le restrizioni sul lavoro dovute al distanziamento sociale”.

Fonte: New York Times

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Giorgia Pacino

Articolo a cura di

Giornalista professionista dal 2018, da 10 anni collabora con testate locali e nazionali, tra carta stampata, online e tivù. Ha scritto per il Giornale di Sicilia e la tivù locale Tgs, per Mediaset, CorCom - Corriere delle Comunicazioni e La Repubblica. Da marzo 2019 collabora con la casa editrice ESTE. Negli anni si è occupata di cronaca, cultura, economia, digitale e innovazione. Nata a Palermo, è laureata in Giurisprudenza. Ha frequentato il Master in Giornalismo politico-economico e informazione multimediale alla Business School de Il Sole 24 Ore e la Scuola superiore di Giornalismo “Massimo Baldini” all’Università Luiss Guido Carli.

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