La rana bollita

Abolita la legge che impedisce di avere più di un figlio, le donne cinesi dal 2016 possono aspirare ad averne un secondo.Attenzione però a condividere la decisione con il proprio datore di lavoro: ogni gravidanza deve essere programmata in modo da non interferire con l’organizzazione. Maternità si, ma quando lo decide l’azienda, pena il licenziamento. Già si stanno rivelando le debolezze della politica del figlio unico, prima tra tutte lo squilibrio della popolazione maschile rispetto a quella femminile, conseguenza diretta dell’aborto selettivo. Potendo scegliere, il figlio maschio piace sempre di più… Se già le relazioni sono ovunque in crisi, nella sterminata Cina la maggiore presenza di uomini rispetto alle donne (tra i 20 e i 35 milioni in più nel 2020) risolve il problema alla radice: sposarsi diventa quasi impossibile salvo cercare una moglie altrove (e infatti prosperano agenzie dal sapore molto poco legale che procacciano mogli straniere). Tornando alla questione maternità, la programmazione condivisa con il proprio datore di lavoro sottende un altro effetto collaterale: assumere donne in età fertile non conviene. Se anche le discriminazioni di genere sono illegali, è vero però che nei fatti la situazione soggettiva delle donne appare indebolita. I figli possono diventare due ma poi non solo si rischia il licenziamento ma anche il sostegno alla maternità si assottiglia. E infatti la popolazione cinese risulta in calo e le proiezioni ci dicono che nel 2060 la popolazione dell’India sarà superiore a quella della cina. Possiamo dire che le politiche di contenimento delle nascite stanno funzionando oltre i limiti sperati ma a rimetterci sono ancora una volta le donne, discriminate sul luogo di lavoro quando non espulse del tutto.

E da noi cosa succede? Il calo della natalità è un dato ormai strutturale e la percentuale di mamme che lasciano il lavoro alla nascita del primo figlio è elevatissima, siamo intorno al 30%. E il nostro Paese cosa fa per contrastare il fenomeno? Il tema va affrontato seriamente perché con il governo in carica sta passando sottotraccia il messaggio che il vero posto della donna è in casa, a gestire finalmente figli e famiglia per contribuire a ricostituire un ordine sociale pericolosamente messo in crisi. Se non sapete cos’è il disegno di legge 735, più conosciuto come disegno di legge Pillon, allora sappiate che se non si prendono posizioni nette per contrastare una pericolosa deriva familista corriamo il rischio di venire catapultati nel medioevo. Con buona pace di chi sta con gli italiani.

Riassumo la questione, per sottolineare che non c’è nulla di dignitoso nel modo con il quale si vogliono trattare donne, bambini e famiglie in generale. Innanzitutto il disegno di legge Pillon è stato inserito nel programma di Governo quindi attenzione a qualche colpo di mano (legifero per il ponte di Genova e intanto ti piazzo un bel condono per Ischia, tanto per dire…). In sintesi l’obiettivo del disegno di legge è disincentivare i divorzi con una de-giurisdizionalizzazione del conflitto. Tradotto, si va dal giudice solo dopo un percorso di mediazione (a pagamento, sa va sans dire); i figli dovranno trascorre un tempo equivalente con i due genitori e si elimina l’assegno di mantenimento. Quando stanno con il papà paga il papà, quando stanno con la mamma, paga lei. Direi al senatore Pillon che il tasso di conflittualità in una coppia che si separa è già alto, figuriamoci cosa succede nel caso in cui si presuma che i due intervengano in maniera equivalente. Chi controlla? E se la disponibilità economica di un genitore è maggiore, cosa succede? Avremo un bimbo che per due settimane mangia tonno in scatola e le restanti due cena al Four Season? Dico per dire… E cosa succede ad una mamma che lavora nel momento in cui l’assegno di mantenimento viene a mancare? Come può far fronte alle spese extra che derivano dalle necessità di accudimento del bambino? Ma di questo non si parla perché, come detto, l’obiettivo è riunire la famiglia segregando la donna in casa. E veniamo all’ultimo punto, l’alienazione genitoriale. Il disegno di legge vuole contrastare l’esclusione di uno dei genitori dalla vita dei figli, più frequentemente il padre. Se il minore manifesta un rifiuto – diciamo per maltrattamenti – sarà il giudice a prendere provvedimenti che includono l’affido a una struttura. Ma l’alienazione genitoriale è un terreno spinoso, difficile per il genitore più debole (più spesso la madre) contrastare la volontà di un genitore se alla violenza, ancorché psicologica, si aggiunge una maggiore disponibilità economica. Il contenuto del decreto ha scomodato due relatrici dell’Onu che hanno sottolineato quanto il disegno di legge aumenti le disuguaglianze di genere. La dignità delle donne, e di tutti noi, viene calpestata. Credo che il medioevo stia bussando alla porta. E abbiamo il dovere di cacciarlo, altrimenti entrerà dal buco della serratura. In managerialese si chiama ‘fenomeno della rana bollita’. Sapete di cosa parlo.

maternità, disegno di legge 735, lavoro femminile, natalità


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Chiara Lupi

Articolo a cura di

Chiara Lupi ha collaborato per un decennio con quotidiani e testate focalizzati sull’innovazione tecnologica e il governo digitale. Nel 2006 ha partecipato all’acquisizione della ESTE, casa editrice storica specializzata in edizioni dedicate all’organizzazione aziendale, che pubblica le riviste Sistemi&Impresa, Sviluppo&Organizzazione e Persone&Conoscenze. Dirige la rivista Sistemi&Impresa e governa i contenuti del progetto multicanale FabbricaFuturo sin dalla sua nascita nel 2012. Si occupa anche di lavoro femminile e la sua rubrica "Dirigenti disperate" pubblicata su Persone&Conoscenze ha ispirato diverse pubblicazioni sul tema e un blog, dirigentidisperate.it. Nel 2013 insieme con Gianfranco Rebora e Renato Boniardi ha pubblicato il libro Leadership e organizzazione. Riflessioni tratte dalle esperienze di ‘altri’ manager. Nel 2019 ha curato i contenuti del Manuale di Sistemi&Impresa Il futuro della fabbrica.

Chiara Lupi


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