La ripresa dopo l’emergenza e la trasformazione della Pubblica amministrazione
La Quarta rivoluzione industriale ha bisogno di una Pubblica amministrazione (Pa) diversa. La Pa può trovare la forza e il metodo cambiare se stessa se partecipa da protagonista alla Quarta rivoluzione industriale e alla ripresa dopo l’emergenza dell’epidemia Covid-19.
La Pa non può cambiare solo guardando a se stessa, sollevandosi da sola per i capelli come fece il Barone di Munchausen; essa può cambiare se contribuisce a cambiare l’economia e la società del territorio in cui opera contribuendo a programmi di innovazione di lungo periodo. O se partecipa proattivamente alla gestione di emergenze, come il terremoto del Centro Italia del 2016 o come tragicamente dovrà avvenire con l’emergenza coronavirus che impegnerà severamente tutta la Pa e non solo il sistema sanitario e le forze dell’ordine.
Questo è stato il caso del cambiamento dell’organizzazione della Regione Emilia-Romagna che, nel contribuire al successo del Patto per il lavoro, ha cambiato se stessa. È un caso di collaborazione fra pubblico e privato orientato ad aumentare il valore aggiunto e valorizzare il lavoro, investendo massicciamente in science and technology.
La lezione che si trae dal caso è che è necessario andare oltre l’illusione di modificare la burocrazia pubblica solo con il Diritto amministrativo, con l’Informatica, con il Public management: la governance partecipata, operando in rete con i soggetti dell’economia e della società, proposta fin dagli Anni 90 nei Paesi anglosassoni e adottata nel caso del Patto per il lavoro, include tutto ciò e molto di più. Un’ amministrazione che non è palla al piede, bensì è promotrice dello sviluppo. E soprattutto mette il turbo allo scrigno di competenze latenti di ogni Pa.
Per cambiare se stessa, la Pa partecipa agli investimenti in science and technology e si riconfigura sulla base di obiettivi di trasformazione sociale di lungo periodo oltre che di fornire servizi eccellenti alle persone e alle imprese; attua patti sociali centrati sulla crescita del valore aggiunto promossi dal Governo dell’Ente; attua forme organizzative che rendano possibile collaborazioni realizzative fra i soggetti istituzionali e privati; promuove, fornisce risorse e diffonde esperienze eccellenti di progettazione congiunta di tecnologia, organizzazione e lavoro sociotecniche nei sistemi produttivi, una nuova sociotecnica; promuove modelli di formazione che sviluppino insieme new job e new skill.
Il Patto per il lavoro dell’Emilia-Romagna
Il Patto per il lavoro dell’Emilia-Romagna è stato un caso di politica pubblica che ha attivato un percorso di collaborazione organizzata fra 50 soggetti pubblici e privati mirato a innovare e ad aumentare il valore aggiunto della regione e a generare lavoro di qualità, ottenendo risultati tangibili.
Esso è stato costituito da un insieme di programmazione regionale, di politica industriale e della scienza, di politica del lavoro e di politica formativa, sostenute da una organizzazione collaborativa fra pubblico e privato per fare avvenire le cose. L’innesco e l’inedita coesione fra Amministrazione e corpi intermedi cominciò proprio come risposta al terremoto del Centro Italia del 2016.
Gli elementi distintivi del Patto sono stati: un’idea forte (aumentare con l’innovazione il valore aggiunto della regione e del lavoro dell’1,5% annuo); un obiettivo sintetico chiave (aumentare l’occupazione di almeno 100mila unità annue e passare dall’11% al 5% di disoccupazione nell’arco del mandato); investimenti massicci in science and technology e principalmente in Big data, attraendo su questa area ingenti risorse europee. Ciò è avvenuto davvero.
La Fondazione Irso ha condotto una ricerca sulla natura e sulle ragioni del successo di questo Patto per il lavoro e ha accompagnato il percorso di Change management dell’organizzazione regionale, in via di pubblicazione in un volume in corso di stampa con Il Mulino.
Uno fra i numerosi fattori di successo di questa esperienza è stato che l’amministrazione ha messo per prima cosa in discussione se stessa avviando un processo di cambiamento organizzativo che la trasformasse da una burocrazia pubblica a un modello di participative governance, governo socialmente partecipato: un modello proiettato ai risultati e non alle procedure muovendo da una struttura burocratica a un nodo di servizio e di animazione di reti pubbliche e private orientate all’innovazione, alla produttività e alla valorizzazione del lavoro.
Il Patto per il lavoro è stato per l’amministrazione il driver principale per riconfigurarsi sulla base di obiettivi di trasformazione sociale di lungo periodo oltre che fornire servizi eccellenti alle persone e alle imprese.
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