La rivoluzione della trasparenza

Fino all’avvento della tecnologia, la trasparenza gestionale era considerata la più pericolosa minaccia al potere.

Correva il 1990 quando assunsi l’incarico di Capo del Personale di uno stabilimento di produzione con 2.200 persone tra operai, tecnici, ingegneri. Fu allora che chiesi al Centro elaborazione dati (Ced) un tabulato anomalo, cioè diverso da quelli che istituzionalmente mi venivano forniti a scadenza mensile e che consentivano di monitorare la distribuzione delle persone (matricola, qualifica, livello di inquadramento) nei vari centri di costo, il consumo delle ferie, le ore di assenza per le diverse causali, il carico dello straordinario.

Informazioni che rispondevano in toto alla logica della funzione HR in chiave di amministrazione e controllo della presenza e gestione del tempo dei dipendenti: il mito dell’orario di lavoro che ha caratterizzato la conduzione della fabbrica durante l’intero secolo scorso. Chiesi invece, con una formale comunicazione interna indirizzata al dirigente dei sistemi informativi, un prospetto che riportasse, in ordine decrescente e per inquadramento contrattuale corredato del dato dell’anzianità di servizio, la retribuzione di tutti (dico tutti, dirigenti compresi) i dipendenti dello stabilimento.

Scoppiò un putiferio. Il collega dei sistemi informativi sollevò il caso dell’anomala richiesta al Direttore dello stabilimento e con il suo Direttore funzionale a livello di corporate. Dopo seppi, in via del tutto confidenziale, che la questione interessò anche il Direttore centrale del Personale in un summit riservatissimo in cui egli non fece altro che scuotere la testa. Passarono un paio di settimane senza ricevere alcun riscontro. Allora insistetti e mi decisi ad alzare la cornetta del telefono per sentire il collega. Mi rispose argomentando con circospezione che la richiesta non poteva essere evasa, non certo a causa di una limitazione tecnica del calcolatore (il mitico mainframe che occupava un’intera stanza), ma perché il contenuto del tabulato avrebbe reso noti agli operatori del Ced i dati relativi alle retribuzioni di tutto il personale, con intuibili rischi di confronti, pettegolezzi e polemiche sindacali.

La gestione delle informazioni, essenziale per il funzionamento di ogni organizzazione, non incontrava dunque un limite tecnico, bensì un inaccettabile limite culturale. A quell’argomentazione però non ho mai creduto, perché mi appariva come una scusa un po’ puerile per nascondere invece il timore di ciò che veniva percepito dall’alta Direzione come un rischio per la sopravvivenza stessa dell’azienda: quello della trasparenza gestionale, percepita dai vertici come la più pericolosa minaccia al potere discrezionale dei capi. La tecnologia dei processi informativi – ciò che oggi chiamiamo “digitalizzazione” – contiene infatti in sé il germe rivoluzionario della trasparenza e della tracciabilità di ogni azione, limitando notevolmente, e a tutti i livelli, la gestione di un potere basato sull’arbitrarietà delle scelte, delle nomine, della premialità.

Paradossalmente fu la tecnologia stessa, con il suo impetuoso procedere, a risolvere il problema. Non passò neppure un anno che mi ritrovai sulla mia scrivania da dirigente una sorta di piccolo televisore, di quelli a tubo catodico com’erano all’epoca. Pensai che si trattasse di un nuovo benefit da mostrare come status symbol. Era invece il grosso display di un Personal computer, un oggetto visto nei film che non avevo mai toccato con mano prima.

Utilizzando un linguaggio ignoto che avrei rapidamente appreso in un corso di formazione, il Dos, avrei potuto interrogarlo a piacimento impostando le query, incrociare ogni tipo di dato a volontà e ottenere sul display, in tempo reale, tutte le informazioni che mi erano state negate. E così, forte delle mie interrogazioni al Pc, potevo ora discutere con i capi delle incongruenze retributive dei propri collaboratori e guidare correttamente le scelte di politica incentivante tra retribuzione fissa e variabile.

Da qui all’informatizzazione del sistema di valutazione il passo fu breve: potevamo ora immagazzinare nel Database i risultati della valutazione (che prima si conservavano nelle cartelle personali di ogni dipendente), tracciare la storia professionale e valutativa di ognuno, monitorare il livello di copertura delle competenze, elaborare statistiche che puntualmente dimostravano l’insostenibile tendenza dei capi a valutare tutti come eccellenti, salvo poi venire da me e lamentarsi dello scarso rendimento dei propri collaboratori.

Era il Medioevo dell’informatizzazione dei processi HR. Ma lì, 30 anni fa, si gettarono le basi di quella capacità gestionale che oggi ci consentono i sofisticati sistemi elettronici per la gestione HR, abilitandoci alla necessaria agilità richiesta dalle imprese che affrontano la trasformazione digitale: da App di formazione erogate sugli smartphone, a piattaforme per il Performance management online, il recruitment, il Manpower planning. Agilità che fa sempre leva su trasparenza e tracciabilità dei dati, senza i quali nessuna politica di valorizzazione delle persone sarebbe praticabile.

Francesco Donato Perillo pubblica le sue riflessioni nella rubrica “L’impresa imperfetta” di Persone&Conoscenze.
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valutazione, HR, retribuzione, trasparenza


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Francesco D. Perillo

Laurea in filosofia, Francesco Donato Perillo ha maturato una trentennale esperienza in Italia ed all’estero nella Direzione del Personale di aziende del Gruppo Finmeccanica (Alenia, Selex, Alenia Marconi Systems, Telespazio). Dal 2008 al 2011 è stato Direttore Generale della Fondazione Space Academy per l’alta formazione nel settore spaziale. Docente a contratto di Gestione delle Risorse Umane all’ Università Suor Orsola Benincasa di Napoli e formatore manageriale della Luiss Business School, è autore dei libri: La leadership d’ombra (Guerini e Associati, Milano 2005); L’insostenibile leggerezza del management-best practices nell’impresa che cambia (Guerini e Associati, Milano 2010); Romanzo aziendale (Vertigo, Roma 2013); Impresa Imperfetta (Editoriale scientifica, Napoli 2014), Simposio manageriale - prefazione di Aldo Masullo e postfazione di Pier Luigi Celli, (Editoriale scientifica, Napoli 2016). Cura la rubrica "Impresa Imperfetta" sulla rivista Persone&Conoscenze della casa editrice Este. Editorialista del Corriere del Mezzogiorno (gruppo Corriere della Sera).

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