La rivoluzione gentile

Digital revolution. Disrutpion. Impresa4.0. Parto da questi temi per avviare una riflessione sul lavoro femminile. In occasione della festa della donna si intensifica il dibattito e ho pensato di lasciarmi ispirare dai nostri contenuti per condividere un ragionamento che prenderà la forma di una newsletter che condivideremo con i nostri lettori l’8 marzo. Non stiamo vivendo un cambiamento ma un cambio d’epoca. Le tecnologie hanno cambiato il modo di produrre, e se cambia il modo di produrre cambia la nostra vita. Nella fabbrica spariscono persone che svolgono mansioni ripetitive, l’operaio nella quarta rivoluzione industriale ha lasciato il posto a un operatore evoluto. La smart factory ha connesso persone, prodotti e informazioni e chi sta all’interno del processo deve sviluppare la capacità di prendere decisioni. In qualsiasi contesto, l’operatore deputato a fare senza pensare non ha più ragione di esistere. E poi ci siamo noi, cittadini e consumatori che abbiamo la possibilità di intervenire nel processo di progettazione del prodotto che acquisteremo. La produzione in serie sta lasciando il posto a una personalizzazione di massa e stiamo passando da una logica di possesso a una logica di utilizzo. La sharing economy è già una realtà. Siamo stati ‘gettati’ in un nuovo mondo, e dobbiamo accettare di dover imparare a muoverci all’interno di un contesto che non ci risulta familiare. Se in alcune aziende stanno già organizzando il personale sulle base di elaborazioni di algoritmi – per fare un esempio – dobbiamo sapere di cosa stiamo parlando. Non conoscere le logiche che governano questa nuova epoca non farà che aumentare il nostro spaesamento e il nostro senso di inadeguatezza. Dobbiamo accettare di essere immersi in una nuova dimensione, che può apparire inospitale solo se non si accetta che bisogna acquisire gli strumenti per governarla. Continuare a dibattere sul fatto che le macchine porteranno via il lavoro all’uomo ci allontana dal problema. Le macchine hanno già sostituito l’uomo, l’automazione è già una realtà, e non da oggi. Le macchine sono in grado di prendere decisioni in autonomia, ma a monte ci dovrà sempre essere un essere umano a programmarle. L’uomo deve accettare che la macchina diventa un interlocutore ma deve anche assumersi la responsabilità di governare il contesto all’interno del quale l’uomo e la macchina dialogano. In questo scenario alimentare la paura non aiuta. E a questo punto mi chiederete, ma tutto questo con il lavoro femminile, cosa c’entra? Centra perché se il contesto è nuovo è insensato cercare di trovare soluzioni partendo da teorie, da modelli dati a priori. Le donne, entrate solo in tempi recenti nel mondo del lavoro, sono meno portate a riferirsi a schemi sperimentati. Come scrive Luisa Pogliana, le donne agiscono sulla base di progetti che hanno in testa, non partono da teorie, non utilizzano come riferimento quel che si è fatto in passato. E oggi abbiamo bisogno di persone che si prendano la responsabilità guardare alla realtà con uno sguardo meno scontato e siano capaci di intravedere le opportunità che la nuova epoca porta con sé. Come ci esorta a riflettere Francesco Varanini, anche nel passato l’uomo ha vissuto delle disruption, ma ha saputo trovare risposte. Oggi abbiamo bisogno di donne come Ada Lovelace, la figlia di Lord Byron che nella prima metà dell’ottocento contrasta la foga distruttrice dei telai a opera dei luddisti sostenendo che l’Analytical Engine, in virtù della sua capacità di eseguire da sola tutte le operazioni materiali, risparmia lavoro intellettuale che può essere impegnato in modo più redditizio. Abbiamo bisogno di donne come Beatrice Webb, che è stata capace di raccontare come di fronte alle tecnologie che impongono le proprie regole, gli esseri umani hanno saputo scoprire una plasticità che non pensavano di possedere. Gli esseri umani nel passato hanno saputo trovare risposte. Per questo non dobbiamo avere paura del nuovo e l’atteggiamento giusto è proprio quello di Ada, che invita a considerare le macchine strumenti per liberarsi da lavori faticosi e ripetitivi. Ada è stata capace di intuire il lato positivo delle macchine, allontanando la dimensione di minaccia e costruendo una narrazione gentile, come l’ha definita Varanini.

Sono passati due secoli e ritroviamo lo stesso atteggiamento nella testimonianza che ci ha rilasciato Laura Rocchitelli: a capo dell’azienda di famiglia, sottolinea il ruolo fondamentale delle macchine per migliorare la qualità del lavoro, soprattutto delle donne, che avranno ancora più occasioni per assumere ruoli di responsabilità nel contesto produttivo. La conseguenza dell’innovazione tecnologica è che cambiano anche le modalità con la quale vengono gestite le relazioni all’interno dell’organizzazione, si passa da uno schema di controllo a una relazione di fiducia. Questo può abilitare nuove forme di collaborazione e lo smart working rappresenta una modalità per gestire in modo diverso il lavoro nelle diverse fasi della vita. Come scrive Martina Galbiati però, bisogna esserne capaci.

In questo momento abbiamo la sensazione essere stati gettati in un nuovo mondo, come i neonati ci sentiamo tutti sbalzati fuori in una dimensione che appare inospitale, ma che dobbiamo sforzarci di comprendere. Per questo dovremmo fidarci delle donne. Perché le donne sono naturalmente predisposte ad affrontare il nuovo e l’inaspettato; essere disponibili ad accogliere una nuova vita ne è la dimostrazione più potente. Anche per questo la maternità è un progetto che sviluppa competenze che oggi sono più che mai necessarie, la genitorialità è un’esperienza formativa dalle potenzialità straordinarie. Ce ne parla anche Dario Colombo, diventato papà di Viola poco dopo avere iniziato la sua esperienza in ESTE. Essere genitori rende più forti anche se, come racconta Riccarda Zezza, le donne con figli, ancora oggi, non le assume nessuno oppure vengono pagate di meno. Siamo un Paese che tollera ancora la bella presenza come requisito negli annunci di lavoro e dove i molestatori sono giustificati dal fatto di essere stati provocati. Tutto gira intorno alla cultura, per fortuna un’azienda che si è presa la briga di dedicare tempo ed energie a combattere la violenza sulle donne c’è, si tratta di ZetaService che ha dato vita al progetto Libellula. Le aziende sono luoghi da cui partire per diffondere una nuova cultura della gestione delle diversità e chi le governa ha la responsabilità di contrastare comportamenti deviati, promuovendo la cultura della bellezza e del rispetto. Ma le rivoluzioni culturali devono partire dalla famiglia e dalle relazioni al suo interno. La condizione del lavoro femminile non può migliorare se all’interno del nucleo famigliare non si accettano ruoli più bilanciati. Scrivo questo articolo nella domenica delle elezioni. Chiunque arrivi al governo dobbiamo augurarci abbia a cuore, come ha scritto Linda Laura Sabbadini tre temi: povertà, futuro dei giovani e occupazione femminile. L’importanza di quest’ultimo punto mi auguro di averla trasferita.

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Chiara Lupi

Articolo a cura di

Chiara Lupi ha collaborato per un decennio con quotidiani e testate focalizzati sull’innovazione tecnologica e il governo digitale. Nel 2006 ha partecipato all’acquisizione della ESTE, casa editrice storica specializzata in edizioni dedicate all’organizzazione aziendale, che pubblica le riviste Sistemi&Impresa, Sviluppo&Organizzazione e Persone&Conoscenze. Dirige la rivista Sistemi&Impresa e governa i contenuti del progetto multicanale FabbricaFuturo sin dalla sua nascita nel 2012. Si occupa anche di lavoro femminile e la sua rubrica "Dirigenti disperate" pubblicata su Persone&Conoscenze ha ispirato diverse pubblicazioni sul tema e un blog, dirigentidisperate.it. Nel 2013 insieme con Gianfranco Rebora e Renato Boniardi ha pubblicato il libro Leadership e organizzazione. Riflessioni tratte dalle esperienze di ‘altri’ manager. Nel 2019 ha curato i contenuti del Manuale di Sistemi&Impresa Il futuro della fabbrica.

Chiara Lupi


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