La salute passa dal benessere mentale

Meno di una persona su quattro parlerebbe dei suoi problemi sul lavoro. Eppure, il 66% degli inglesi spera che, una volta superata l’emergenza Covid, le aziende investano più tempo e più risorse nella salute mentale dei propri dipendenti. È quanto rivela una survey anonima, condotta dal sito CoursesOnline sui dipendenti di 300 compagnie inglesi, per indagare l’attitudine delle imprese sul tema del benessere mentale e le iniziative messe in campo durante la pandemia.

Secondo i dati raccolti, il 60% delle organizzazioni si è preoccupato di dare sostegno al personale, adottando una policy ad hoc e affidandone la responsabilità a uno specialista interno o esterno all’azienda. Le imprese si sono dimostrate, invece, meno propense ad aumentare il tempo libero a vantaggio del personale in difficoltà (10%) o a porre maggiore enfasi sulla questione in occasione degli incontri tra staff e management (13%). Il 40% dei luoghi di lavoro non ha adottato nessuna politica al riguardo.

D’altronde, si fa ancora fatica a parlare di salute mentale. E non solo sul luogo di lavoro: secondo l’indagine, una persona su 10 non confiderebbe a nessuno le proprie preoccupazioni. Per chi è disposto ad aprirsi, i primi a cui rivolgersi restano nel 63% dei casi amici e familiari, prima di colleghi e superiori. I più restii a parlarne sono gli uomini: poco più della metà dei rispondenti si confiderebbe con un amico, contro il 70% delle donne. Sembra, però, che l’universo maschile sia più consapevole degli effetti di un malessere mentale sul lavoro: il 18% degli uomini sarebbe disposto a parlarne con il proprio diretto responsabile, mentre soltanto l’8% delle donne si dice pronto a fare altrettanto.

“Per il 40% delle organizzazioni che non stanno provando a fare di più per la salute mentale dei propri dipendenti, è tempo di ripensare il loro approccio”, ha detto Sarah-Jane McQueen, General Manager di CoursesOnline, convinta che i datori di lavoro abbiano il dovere di investire nelle loro persone. “Indipendentemente da dove o come si lavora, le questioni relative alla salute mentale pesano per una porzione significativa sui giorni di lavoro persi. Le aziende dovrebbero essere desiderose di riconquistare almeno parte di quella produttività”.

Fonte: HR News

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Giorgia Pacino

Articolo a cura di

Giornalista professionista dal 2018, da 10 anni collabora con testate locali e nazionali, tra carta stampata, online e tivù. Ha scritto per il Giornale di Sicilia e la tivù locale Tgs, per Mediaset, CorCom - Corriere delle Comunicazioni e La Repubblica. Da marzo 2019 collabora con la casa editrice ESTE. Negli anni si è occupata di cronaca, cultura, economia, digitale e innovazione. Nata a Palermo, è laureata in Giurisprudenza. Ha frequentato il Master in Giornalismo politico-economico e informazione multimediale alla Business School de Il Sole 24 Ore e la Scuola superiore di Giornalismo “Massimo Baldini” all’Università Luiss Guido Carli.

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