La sopravvivenza delle imprese passa dalla garanzia di sicurezza
C’è un’immagine iconica di questa fase di pre-apertura che racconta lo scenario che stiamo affrontando. Da una parte c’è il Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, chino sul tavolino a leggere un documento; dall’altra il Governatore della Lombardia, Attilio Fontana, anche lui leggermente proteso in avanti, in un atteggiamento che pare di rassegnata attesa di una decisione del capo del Governo.
La foto racconta l’incontro tra il Presidente lombardo e il Premier, che per la prima volta dall’inizio dell’emergenza ha fatto visita alla Lombardia. E in questa occasione Conte ha spiegato che al momento non ci sono le condizioni per un ritorno alla normalità nel Paese e che il suo discorso di domenica 26 aprile 2020 non è stato un ‘libera tutti’. Anche perché nelle ultime ore è emersa una relazione riservata del comitato tecnico scientifico – anche se poi è stata diffusa dal Corriere della Sera – i cui contenuti hanno imposto la frenata al Governo sulle riaperture.
In estrema sintesi, da quanto si è appreso, il report suggerisce la riapertura parziale delle attività da considerare come una sperimentazione da monitorare per 14 giorni al fine di valutare l’impatto del rilascio del lockdown sulla trasmissibilità del virus.
Anche perché l’Organizzazione mondiale della sanità non ha mai abbassato il livello di guardia e anzi ha spiegato che “la pandemia è ancora lontana dall’essere sconfitta”. I numeri, infatti, dicono che nel mondo ci sono oltre 3 milioni di persone infettate dal virus e i decessi sono oltre 210mila. Proprio questi dati invitano alla prudenza. E Vittorio Colao, alla guida della task force messa in piedi dal Governo, ha ribadito la necessità di “ripartire con decisione”, ma serve farlo “in sicurezza”, considerata come la “priorità di tutti gli italiani”.
Proprio la sicurezza deve essere la bussola per la riapertura. Numerosi sono i casi delle aziende che hanno già aperto o che non si sono mai fermate: secondo l’Istat, in Italia sono rimaste aperte 2,3 milioni di imprese, il 51% del totale. Si tratta di aziende che impegnano 9,3 milioni di addetti, di cui 6,8 milioni dipendenti.
L’attenzione alla salute deve essere prioritaria
Tra le aziende che hanno riaperto, c’è Fca a Mirafiori che ha fatto tornare gli operai in fabbrica. Ma come è assicurata la sicurezza di cui parla Colao? Attraverso alcune misure specificate all’interno di un protocollo, realizzato anche grazie alla consulenza di virologi, firmato a inizio aprile 2020 da tutti i sindacati e che contiene i comportamenti da tenere al lavoro (lavare le mani e cambiare la mascherina ogni quattro ore) e obblighi per l’azienda (per esempio la fornitura di detergenti nelle postazioni e gli occhiali di sicurezza).
Giusto qualche spunto rispetto alle misure di sicurezza introdotte dal protocollo: ai tornelli di entrata sono state installate le termocamere che prendono la temperatura a tutti i lavoratori – che seguono percorsi indicati a terra per mantenere le distanze – e chi ha più di 37,5 segue il percorso verso alcune tende bianche dove il personale sanitario approfondisce il caso e, se necessario, impedisce l’entrata al personale.
È certamente solo un esempio, ma utile per avere un’indicazione sul che cosa significhi lavorare in sicurezza nell’era del Covid-19. Ma quante sono le aziende in grado di assicurare le stesse misure nelle loro realtà? Penso alle Piccole e medie imprese, più che alle grandi aziende, magari abituate a dialogare con le parti sociali e più abili a implementare protocolli e piani.
Non è un tema esclusivamente di sicurezza sanitaria, bensì di sopravvivenza delle aziende stesse. Tralasciare una puntuale attenzione sulla salute del personale significa mettere a rischio l’organizzazione che, nonostante quanto dicano i tecnofobi, vivono ancora del lavoro umano. Lo abbiamo sempre detto: nel nuovo Umanesimo l’uomo era al centro. È ora di mettercelo sul serio. Riaprendo sì, ma in sicurezza. Non dei singoli, ma dell’azienda. Che poi vuol dire del Paese.
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