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La trasparenza paga (e fa felici i collaboratori)

La maggior parte delle aziende ha dei segreti. Non necessariamente sinistri, ma molti aspetti – per esempio: stipendi, profitti e perdite, fallimenti, problemi legati al personale – tendono a essere comunicati solo a pochi eletti ai vertici dell’organizzazione. La mancanza di trasparenza è stata per anni un problema sul posto di lavoro.

Un sondaggio del 2013 riportato di recente dalla BBC ha mostrato che la trasparenza del management è il fattore che più incide sulla felicità dei dipendenti; i dati del Future of work study 2018 della piattaforma statunitense Slack, che ha intervistato 1.400 lavoratori Usa, hanno mostrato che l’80% delle persone vorrebbe saperne di più su come sono prese le decisioni all’interno della propria azienda e l’87% chiede maggiore trasparenza per il futuro. Non solo le persone sono più felici nelle imprese con questa caratteristica, ma sono anche più propense a non cercare un nuovo lavoro: la ricerca mostra che quando la comunicazione è scarsa molti considerano di lasciare la propria posizione nell’organizzazione nella quale lavorano.

Utilizzare al meglio la trasparenza radicale

Dati di questo tipo hanno però spinto alcune aziende a virare verso quella che è stata chiamata la “trasparenza radicale”, che prevede di alzare il sipario dei processi interni aziendali, un tempo nascosti alla vista collettiva. L’espressione non è nuova: è emerso nei primi Anni 90, quando Ray Dalio fondò Bridgewater Associates, ora una delle più grandi società di gestione di hedge fund del mondo. Dalio aveva deciso di istituire politiche che consentissero a chiunque in azienda di accedere ai registri finanziari, ai verbali delle riunioni tra i dirigenti e di influire sulla direzione e sul processo decisionale.

Oggi, invece, forse l’esempio più di alto profilo di trasparenza radicale in azione è quello della piattaforma di streaming Netflix. I processi decisionali sono pubblici: la società utilizza una strategia chiamata sunshining che prevede che le persone discutano apertamente delle decisioni controverse. Chiunque ha accesso a informazioni come gli stipendi e quando qualcuno è allontanato dall’azienda, i dirigenti sono incoraggiati a spiegarne pubblicamente la ragione.

A questo proposito, sono molte le prove che suggeriscono che la trasparenza radicale possa essere utile per le aziende e per chi ci lavora, ma solo a patto che le organizzazioni ne facciano il corretto utilizzo. Se implementata in modo sbagliato, questa pratica può impantanare le aziende, uccidere la creatività e l’innovazione e persino spaventare le persone, vanificando completamente lo scopo della trasparenza.

Nella società di consulenza software finlandese Reaktor, per citare un altro caso, trasparenza radicale significa che la politica aziendale e le decisioni aziendali sono messe in discussione in un forum online aperto. In questo modo i lavoratori a tutti i livelli sono in grado di contribuire alla strategia aziendale. Ascoltare i feedback di tutti, invece di limitarsi a un piccolo gruppo di dirigenti, livella il campo di gioco.

La trappola sta nella vulnerabilità

Questo modello di trasparenza dall’alto verso il basso e dall’interno verso l’esterno ha il vantaggio di ispirare fiducia tra i lavoratori e di portare a una maggiore comprensione delle decisioni, ha spiegato Ethan Bernstein, Professore Associato di Amministrazione Aziendale presso la Harvard Business School. Tuttavia, le politiche di trasparenza radicale possono incidere negativamente sul progresso del lavoro, perché sollecitare input su ogni decisione, fin dall’inizio di un dibattito, può complicare le cose impendendo ai processi decisionali di concludersi, almeno in tempi rapidi. Inoltre, la trasparenza radicale può creare sì un ambiente aperto, ma solo se ogni membro dell’azienda ha fiducia che la sua opinione sarà ugualmente ascoltata e rispettata.

Le situazioni in cui i team individuano apertamente i fallimenti e le carenze dei dipendenti a qualsiasi livello, per esempio, possono funzionare esclusivamente se l’azienda dispone di un ambiente in cui le persone si sentono a proprio agio e non temono ritorsioni. Se dovessero subentrare paura e riluttanza a condividere, allora l’intero scopo dell’applicazione della trasparenza radicale ne uscirebbe compromesso.

Un altro problema di questo approccio è che i luoghi di lavoro radicalmente trasparenti invitano anche a un attento monitoraggio del lavoro e ciò include una valutazione delle performance. Nella sua ricerca sulla cosiddetta “trappola della trasparenza”, Bernstein ha rilevato che le persone generalmente si irritano davanti alla sensazione di essere osservate troppo: “Essere osservati cambia la condotta. Si comincia a fare di tutto per tenere nascosto ciò che si sta facendo, anche se non si ha niente da nascondere. Ci si sente esposti e vulnerabili”. Ciò significa che la trasparenza non solo può diventare inutile e controproducente, ma potrebbe anche generare ansia da lavoro e demotivare i dipendenti. Nella maggior parte degli studi, poi, ha fatto notare l’esperto, anche le persone che sostengono l’idea di aziende che rendono pubbliche le retribuzioni in realtà non vogliono che il proprio stipendio sia pubblicato accanto al loro nome. Ugualmente delicato è il tema dei licenziamenti.

Dato quindi che la trasparenza radicale comporta vantaggi e svantaggi, alcuni esperti hanno proposto un’alternativa moderata: il “candore radicale”. In alcuni dei suoi corsi di management, Bernstein ha illustrato il concetto: “Si tratta di una scelta volontaria; mi piacerebbe condividere queste informazioni e mi trovo in un contesto nel quale posso sentirmi libero di condividerle”. La differenza, ha spiegato il docente, sta nel fornire feedback in modo personale ed essere disposti ad ascoltare le preoccupazioni di dipendenti e colleghi. Buona parte della privacy in questo modo è tutelata.

Nella ricerca di Bernstein – effettuata in tutti i settori e in tutti i tipi di aziende – le realtà che hanno accolto questo modello e promosso la trasparenza su alcuni aspetti, mantenendo inviolati i confini della privacy intorno ad altri, hanno raggiunto i risultati più apprezzati. In definitiva, trasparenza e privacy rischiano per definizione di entrare in contrasto, ma questo non esclude l’esistenza di un punto d’incontro. Spetta alle aziende capire come trovarlo.

Fonte: BBC

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Erica Manniello

Laureata in Filosofia, Erica Manniello è giornalista professionista dal 2016, dopo aver svolto il praticantato giornalistico presso la Scuola superiore di Giornalismo “Massimo Baldini” all’Università Luiss Guido Carli. Ha lavorato come Responsabile Comunicazione e come giornalista freelance collaborando con testate come Internazionale, Redattore Sociale, Rockol, Grazia e Rolling Stone Italia, alternando l’interesse per la musica a quello per il sociale. Le fanno battere il cuore i lunghi viaggi in macchina, i concerti sotto palco, i quartieri dimenticati e la pizza con il gorgonzola.

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