La vision è la stella
La partita della sostenibilità aziendale si gioca nella capacità di generare e condividere una visione di lungo periodo.
Deprivati della possibilità di pianificare oltre la soglia di qualche mese bisogni, desideri, obiettivi, in un periodo di emergenza come quello che stiamo vivendo, la capacità di dotarsi di una vision diventa un’assoluta necessità. Vision è capacità di vedere oltre l’immediato, percepire un orizzonte e mettersi in viaggio verso quella direzione: una competenza personale per ogni leader e, al tempo stesso, un vettore essenziale sul piano organizzativo per orientare e muovere ogni impresa, ente o istituzione.
Di carenza di vision abbiamo sofferto troppo nel nostro mondo pre Covid. È clamorosamente difettata in politica, laddove l’azione è stata dettata sempre più spesso dall’obiettivo di soddisfare le voglie degli elettori, piuttosto che dalla preoccupazione per le future generazioni; perseguire il consenso, invece di guidare e dirigere le scelte: proprio la mancanza di vision denuncia l’impossibilità o la non volontà di essere statisti prima che politici. E da qui l’incapacità endemica di riforme nel nostro Paese. Allo stesso modo è mancata nelle aziende che non hanno avuto la fortuna di essere guidate da un imprenditore o da un management illuminato.
Eccezioni ve ne sono, al punto che condottieri visionari come un Leonardo Del Vecchio, un Michele Ferrero, un Brunello Cucinelli – per citarne solo i più noti – sono portati come esempio e case study nei corsi di Organizzazione Aziendale nelle Università e negli Executive Mba. Ma in troppi casi la vision è stata scalzata dall’imperativo degli obiettivi immediati, dalla verifica semestrale di cassa imposta dai Consigli di Amministrazione, dall’egemonia dell’economia finanziaria rispetto a quella reale, dalla logica miope del breve periodo, dal credo lanciato dall’economista statunitense Milton Friedman che “business of business is business”.
E su questi altari sono stati sacrificati le competenze e gli investimenti di lungo periodo. Non solo nei mezzi di produzione e negli impianti, ma anche nella ricerca, nell’innovazione di prodotto, nella formazione (considerata un costo o uno spreco), nelle risorse umane. I piani strategici sono diventati piani annuali, se non semestrali. Vero è che la capacità di pianificazione è andata in tilt per la turbolenza continua dei mercati, per la volatilità o liquidità indotta dalla globalizzazione. Ma la partita della sostenibilità aziendale, quella che riteniamo strategica per ricostruire il futuro, si gioca proprio qui, nella capacità di generare e condividere una visione di lungo periodo a fronte della ridotta predittività dei piani a breve termine. Così era il mondo iperveloce, ingordo, ambiguo prima che il cigno nero di un virus ineffabile e diabolico fermasse tutto. Non sappiamo come ne usciremo: né la scienza né la politica né il management delle organizzazioni hanno certezze.
Ogni tunnel è buio, nessuno conosce la sua lunghezza, ma sappiamo che in fondo c’è un’uscita. Dirigersi e muoversi verso quella direzione è la forza della vision e della sua carica motivazionale. Ce lo ha insegnato nel 1946 Victor Frankl, lo psichiatra sopravvissuto alla prigionia ad Auschwitz, autore di Uno psicologo nel lager: quando la vita è sofferenza, puoi sopravvivere solo trovando il senso di questo dolore; questa ricerca per l’uomo, finanche all’interno di un lager, è la motivazione primaria della sua vita.
La visione è la luce flebile in fondo al tunnel, quella destinazione che, anche se non la scorgi, sai comunque che c’è: è questo a infondere sostegno e spingere all’azione. Allo stesso modo, nelle imprese, è speranza organizzativa di raggiungere una meta profondamente condivisa e infinitamente ambiziosa.
Il punto è che proprio nel buio è possibile ed è necessario scorgere la stella: quella del Nord, polare, che guida ogni navigante. Mi chiedo: “In che direzione sto andando io con le mie scelte, le mie ansie, il mio stile di vita? Sto inseguendo la mia stella? E la mia azienda sta procedendo verso il suo scopo, che poi è la sua stessa anima?”. E ogni vero leader, in qualunque tipo di organizzazione operi –nelle fabbriche, nelle istituzioni, nella Pubblica amministrazione– sta domandando a se stesso e al suo team: “Come saremo nei prossimi anni e che cosa possiamo diventare?”. Anche questo può essere un effetto positivo indotto dal Covid: ritornare a vedere le stelle.
Laurea in filosofia, Francesco Donato Perillo ha maturato una trentennale esperienza in Italia ed all’estero nella Direzione del Personale di aziende del Gruppo Finmeccanica (Alenia, Selex, Alenia Marconi Systems, Telespazio). Dal 2008 al 2011 è stato Direttore Generale della Fondazione Space Academy per l’alta formazione nel settore spaziale.
Docente a contratto di Gestione delle Risorse Umane all’ Università Suor Orsola Benincasa di Napoli e formatore manageriale della Luiss Business School, è autore dei libri: La leadership d’ombra (Guerini e Associati, Milano 2005); L’insostenibile leggerezza del management-best practices nell’impresa che cambia (Guerini e Associati, Milano 2010); Romanzo aziendale (Vertigo, Roma 2013); Impresa Imperfetta (Editoriale scientifica, Napoli 2014), Simposio manageriale – prefazione di Aldo Masullo e postfazione di Pier Luigi Celli, (Editoriale scientifica, Napoli 2016).
Cura la rubrica “Impresa Imperfetta” sulla rivista Persone&Conoscenze della casa editrice Este. Editorialista del Corriere del Mezzogiorno (gruppo Corriere della Sera).
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