L’ascesa, il declino e la nuova ascesa della pianificazione
Come mai si parla ancora di pianificazione? Sembrava un capitolo chiuso e, invece, per uno strano combinarsi di eventi, vive ora un momento di rinnovato interesse. Ciò non toglie che per qualche impresa la pianificazione sia morta, qualche altra non abbia mai pianificato e altre ancora stiano pianificando con risultati soddisfacenti. Una cosa, invece, è certa: stiamo riscoprendo questa attività poiché abbiamo a disposizione nuovi strumenti e si è definitivamente capito che se si vuole indirizzare in modo incisivo un’organizzazione non è sufficiente fissare degli obiettivi; serve pianificare.
Era stato così ai tempi del piano Marshall (1948) e lo è ancora oggi, in pandemia. Questo è il ruolo che viene assegnato al Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) per le transizioni che, a livello strategico, si reputano necessarie nell’Unione europea. Pianificare, quindi, significa, riprendendo il pensiero dell’economista Peter Drucker (1973): “decidere oggi le azioni da intraprendere per raggiungere gli obiettivi domani”. Si parlava in modo corretto di obiettivi e non di strategia.
Ci sono tanti possibili contenuti da assegnare all’attività di pianificazione, compreso quello di dare attuazione a una strategia, ma la pianificazione non è solo strategica. Purtroppo, proprio quest’ultimo approccio è quello che ne ha determinato il declino. Le cause sono diverse. Di certo, in un ambiente che dalla seconda metà degli Anni 70 (causa crisi petrolifera) si andava caratterizzando per fenomeni di forti turbolenze ambientali, la pianificazione richiedeva che si mettesse un notevole impegno nel formulare un presagio circa lo scenario prospettico in cui si pensava si andasse a operare. Ma non sempre si faceva questo sforzo.
Inoltre, la formulazione di una strategia chiara e condivisa sembrava essere la vera risposta alla complessità, ma anche su questo tema le imprese erano spesso ‘vaghe’. Così, due fra le principali cause per le quali la pianificazione strategica è fallita riguardano il fatto che i vertici: non si sono impegnati, in modo collegiale, in una seria attività di analisi dello scenario, che arrivasse a delinearne uno condiviso (Scenario planning); non sempre hanno esplicitato, discusso e poi deliberato una chiara e univoca strategia aziendale. È come se uno skipper in una traversata in mare non esplicitasse il porto di destinazione e la rotta che pensa di seguire.
Questa pianificazione, grazie alla ‘narrazione’ che la caratterizzava, portava a un piano etichettato come un ‘libro dei sogni’, frutto, da parte del management, di approcci prudenziali, come quello ‘hockey stick’ (bastone dei giocatori di hockey). Il primo anno del piano era tendenzialmente piatto e in linea con quello appena consuntivato, mentre il secondo e il terzo erano caratterizzati da significativi e sostenuti sviluppi (Bradley, Hirt e Smit, 2018).
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