Lavorare meno, ma allo stesso (basso) salario

In Italia si produce poco e si guadagna ancora meno. Eppure, siamo uno dei Paesi in cui si lavora di più: 40 ore settimanali contro le 35 dei francesi e le 28 dei metalmeccanici tedeschi. Le classifiche sembrano dare ragione a Paesi come la Danimarca (33 ore settimanali) e l’Olanda (30), che hanno scommesso sulla riduzione dell’orario di lavoro come leva per aumentare la produttività. Lavorare meno per lavorare meglio, insomma.

Una strada che oggi potrebbe percorrere anche l’Italia: il decreto Rilancio, al momento all’esame del Consiglio dei Ministri, dovrebbe, infatti, contenere anche la norma proposta dal Ministro del Lavoro Nunzia Catalfo sulla rimodulazione dell’orario di lavoro a parità di salario, con possibilità di convertire parte delle ore ridotte in percorsi formativi.

In prospettiva, la scelta potrebbe avere effetti positivi anche sulle retribuzioni degli italiani. Secondo l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse), la stagnazione dei salari è dovuta infatti a un sostanziale appiattimento della produttività. Fra i grandi Paesi dell’Unione europea nessuno ha fatto peggio di noi: se in 10 anni l’indice medio dell’Ue è cresciuto di 8,2 punti, il nostro si è fermato a quota 1,1. In Germania la crescita della produttività del lavoro, superiore all’8% nell’ultimo decennio, ha visto la retribuzione per ora lavorata crescere di oltre il 24%. Non c’è quindi da stupirsi se, dati Ocse alla mano, nel 2018 gli italiani hanno guadagnato in media 10.900 euro in meno dei tedeschi e 8.700 euro in meno dei francesi. Aggiungendo ai bassi stipendi una tassazione elevata, il risultato è una riduzione di reddito netto e potere d’acquisto.

Già prima che arrivasse la pandemia da Covid-19 a fermare per settimane il mondo del lavoro, le stime sulla crescita delle retribuzioni destinate ai lavoratori italiani indicavano un andamento tutt’altro che positivo. L’analisi semestrale dell’Osservatorio JobPricing, realizzata in collaborazione con InfoJobs, ha rivelato che nel 2019 la retribuzione media lorda italiana è stata pari a 29.235 euro (-0,1% rispetto al 2018). Sostanzialmente stagnanti anche le retribuzioni globali annue: la crescita molto bassa (+1,9%) registrata nei cinque anni precedenti si è di fatto fermata e oggi gli italiani guadagnano pressoché lo stesso di quanto percepivano un anno fa.

“Entrare in una crisi come quella attuale con un mercato retributivo che si ferma non è certo una buona notizia, perché i nodi rischiano di venire al pettine, primo su tutti il problema della bassa produttività, che è la causa principale della dinamica salariale asfittica del nostro Paese”, ha sottolineato Alessandro Fiorelli, CEO di JobPricing. “Il 2020 è un anno in cui le retribuzioni medie sono destinate a calare in modo sensibile per effetto del lockdown, ma c’è il rischio di un impatto più di lungo termine vista la base su cui la crisi del Covid-19 si è innestata”.

Squilibri salariali e disuguaglianza territoriale

Tra il 2018 e il 2019 l’inflazione è aumentata dello 0,6%, mentre le retribuzioni sono rimaste al palo. Crescono, nel frattempo, gli squilibri tra lavoratori, per ruolo e per appartenenza geografica. I dati dell’Osservatorio JobPricing confermano quelli dell’Organizzazione internazionale del lavoro (Oil), secondo cui in Italia la disuguaglianza è cresciuta del 21% negli ultimi 30 anni. Un dirigente guadagna in media quattro volte lo stipendio di un operaio, mentre la retribuzione di un CEO può arrivare fino a 9,3 volte quella di un operaio.

Al Nord le retribuzioni sono più elevate per tutte le qualifiche contrattuali, mentre al Sud e nelle isole si guadagna il 9,4% in meno. In prospettiva, però, è in queste ultime regioni che gli stipendi sono cresciuti di più (4,3%) negli ultimi cinque anni. La regione dove si guadagna di più è la Lombardia (31.446 euro), seguita dal Trentino Alto-Adige e dal Lazio. Le ultime posizioni del ranking sono occupate da Basilicata, Calabria e Sicilia (tutte inferiori a 25.500 euro).

“Volendo essere più ottimisti l’emergenza attuale potrebbe anche essere un momento decisivo per rimuovere finalmente incrostazioni che sono alla base del basso livello salariale in Italia”, ha continuato Fiorelli. “È difficile pensare, infatti, che, a livello politico e imprenditoriale, possa venire una spinta maggiore di quella attuale per dare finalmente risposte ‘vere’ rispetto a tre questioni fondamentali, eternamente dibattute e mai aggredite: la gestione delle politiche di crescita economica, lo snellimento della burocrazia, la revisione dei modelli organizzativi delle imprese. Il prezzo che pagheremo in caso di risposte timide e poco coraggiose sarà altissimo, purtroppo, anche quando ci saremo lasciati alle spalle la pandemia”.

Crescono i guadagni nel settore alberghiero e aumenta il welfare

Vincono per retribuzione media percepita (41.864 euro) i dipendenti dei sevizi finanziari, con stipendi superiori di oltre il 40% rispetto alla media generale. L’ultimo posto in classifica tocca ai lavoratori dell’agricoltura (23.795 euro). Negli ultimi cinque anni le tre industry con crescite maggiori sono state Horeca, che ricomprende le imprese attive nell’industria Alberghiera (+8,8%), Moda e lusso (7,1%) e Legno (5,4%). I trend più negativi li hanno fatti registrare, invece, i settori Farmaceutica e biotecnologie (-3,3%), Navale (-2,3%) e telecomunicazioni ( -2,1%). Prende sempre più piede il welfare aziendale: ne beneficia in media il 43% dei lavoratori (84% dei dirigenti; 75,5% dei quadri; 53,2% degli impiegati; 21,9% degli impiegati) con un valore medio pari a 757 euro.

Nelle grandi imprese si guadagna il 41,5% in più che nelle micro aziende, anche se negli ultimi cinque anni la distanza si è ridotta. Si passa dai 25.876 euro percepiti mediamente da dipendenti di organizzazioni con meno di 10 dipendenti ai 36.608 euro medi rilevati in aziende con oltre mille dipendenti. Il gap fra le diverse dimensioni aziendali diminuisce all’aumentare della dimensione.

La laurea garantisce ancora un vantaggio competitivo notevole in termini di carriera e stipendio. La retribuzione annuale lorda dei laureati è in media pari 39.787 euro, mentre quella dei non laureati scende a 27.662 euro. Il titolo di studio consente di accedere a percorsi di carriera migliori e quindi a stipendi più alti: un laureato su quattro è almeno quadro o dirigente, mentre solo tre non laureati su 100 accedono alle stesse qualifiche. Tuttavia, per fare il ‘salto’ retributivo occorre almeno un titolo magistrale: le lauree triennali non garantiscono prospettive migliori di quelli dei diplomati a una scuola professionale, che guadagnano l’1% in più.

Aumenta il gender pay gap, ma si riduce la forbice generazionale

“Lo scenario emerso dall’Osservatorio trova conferma anche nei dati della nostra piattaforma, che nel 2019 ha ospitato quasi 500mila offerte di lavoro”, commenta Filippo Saini, Head of Job InfoJobs. “La differenza tra Nord e Sud, per esempio, riguarda non solo il salario, ma anche la numerosità delle offerte e una digitalizzazione del processo di ricerca e selezione a due velocità. Ciò che rimane valido per tutto il Paese è che a garantire un vantaggio competitivo sia in primis l’istruzione. Il conseguimento della laurea, meglio se magistrale, permette non solo il raggiungimento di alte posizioni e retribuzioni, ma è sempre più spesso condizione essenziale per l’accesso a un certo tipo di percorso professionale”.

Rispetto al 2018, è aumentato il gender pay gap. La differenza di retribuzione tra uomini e donne vede l’Italia al 18esimo posto su 24 Stati in Europa. Dai dati dell’Osservatorio, emerge che gli uomini guadagnano in media 3mila euro lordi in più rispetto alle donne (+11,1%): è come se quest’ultime iniziassero a percepire la retribuzione solo dal 6 febbraio in poi. La discriminazione è più forte nelle qualifiche contrattuali inferiori (11,1% per gli impiegati, 11,3% per gli operai, 8,8% per i dirigenti, 4,4% per i quadri). Si riduce, invece, la forbice fra giovani e vecchi. Sebbene il differenziale tra gli Under 24 e gli Over 55 sia del 46%, negli ultimi cinque anni il gap generazionale è diminuito grazie a una crescita delle retribuzioni in ingresso (+8,2%) contrapposta alla sostanziale immutabilità degli stipendi per tutte le altre fasce di età.

“Il 2020 sarà un anno atipico, tutto da scrivere”, conclude Saini. “A due mesi dal lockdown vediamo crescere alcune categorie professionali – sanità, ma anche GDO, logistica, e-commerce e IT – mentre altri, Turismo e Ristorazione in primis, si trovano a combattere con la crisi più grande di sempre”.

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Giorgia Pacino

Articolo a cura di

Giornalista professionista dal 2018, da 10 anni collabora con testate locali e nazionali, tra carta stampata, online e tivù. Ha scritto per il Giornale di Sicilia e la tivù locale Tgs, per Mediaset, CorCom - Corriere delle Comunicazioni e La Repubblica. Da marzo 2019 collabora con la casa editrice ESTE. Negli anni si è occupata di cronaca, cultura, economia, digitale e innovazione. Nata a Palermo, è laureata in Giurisprudenza. Ha frequentato il Master in Giornalismo politico-economico e informazione multimediale alla Business School de Il Sole 24 Ore e la Scuola superiore di Giornalismo “Massimo Baldini” all’Università Luiss Guido Carli.

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