Le sfide del sindacato nell’epoca dello Smart working
La diffusione massiccia del lavoro agile durante la pandemia di covid-19, seppure in versione emergenziale, ha senza dubbio ravvivato i dibattiti concernenti tale modalità di lavoro attivi sin dall’emissione della Legge 81/2017, ma anche prima. Questi, chiaramente, si sono principalmente concentrati sui suoi aspetti maggiormente controversi, fra cui rientrano, per esempio, il tema della salute e sicurezza (Peruzzi, 2017) e quello della flessibilità oraria (Fenoglio, 2018).
Tuttavia, è da notare come il lavoro agile, o Smart working, non ponga semplicemente interrogativi legati alla gestione del rapporto di lavoro in sé considerato. Un suo intenso utilizzo da parte di imprese e amministrazioni pubbliche, infatti, potrebbe avere ripercussioni che esulano da quello che è il tradizionale ambito di competenza dei giuslavoristi: da qui il pronunciato interesse di studiosi afferenti a diverse discipline (sociologi, filosofi, economisti e altri) riguardo tale nuovo modo di interpretare il lavoro, e tra queste le relazioni industriali.
In Italia, complice il fenomeno del cosiddetto “South working” che ha interessato numerosi lavoratori durante l’intero 2020 (Svimez, 2020) o comunque di una dinamica di ridefinizione della geografia del lavoro, particolare attenzione è stata dedicata ai potenziali effetti del lavoro da remoto sui centri abitati del Paese, specialmente sulle città. Il ritorno al luogo di origine di molti di coloro che risiedono nelle zone più urbanizzate del Paese, pur continuando a svolgere la loro prestazione lavorativa grazie ai moderni strumenti informatici, è apparsa a molti come una straordinaria opportunità per un nuovo sviluppo economico e sociale delle zone meno densamente popolate: si moltiplicano, infatti, le iniziative da parte delle amministrazioni comunali che, attraverso voucher, agevolazioni, spazi di coworking, ecc., intendono attrarre lavoratori smart nel proprio territorio.
La remotizzazione influsice sull’attività sindacale
La menzionata opportunità di “trasferimento permanente” risulta chiaramente riservata soltanto a quei lavoratori che possono svolgere la totalità della propria prestazione da remoto, opzione per ora esercitata da un limitato numero di aziende italiane (Ligorio, 2021; Porcheddu, 2021), le quali tendenzialmente preferiscono che i lavoratori mantengano un contatto periodico con le tradizionali sedi di lavoro. Data, tuttavia, la sempre maggiore diffusione di tale modalità di lavoro in altri Stati europei (Eurofound, 2021), appare comunque fondamentale considerare le possibili ricadute di un simile fenomeno nel contesto italiano. In particolare, si sceglie di concentrarsi sulle potenziali trasformazioni delle dinamiche di rappresentanza datoriale e sindacale in un contesto futuro in cui uno dei pilastri del lavoro del Novecento industriale, ossia la ‘grande fabbrica’, uffici inclusi, intesa come luogo di lavoro fisico e unitario (D’Antona, 1998), venga definitivamente meno.
Una massiccia remotizzazione del lavoro potrebbe innanzitutto influenzare notevolmente l’attività sindacale strettamente e tradizionalmente intesa. Operazioni quali l’informazione e la formazione, nonché addirittura le vertenze e gli scioperi, ma più in generale un’attività di rappresentanza che ha nella prossimità ai lavoratori il suo luogo oggi naturale, sarebbero destinati a subire una forte rimodulazione, volta ad adattarli all’assenza fisica delle persone dal luogo di lavoro. Già oggi, all’interno degli accordi che regolano il lavoro agile, spesso si ritrova uno specifico paragrafo relativo all’esercizio dei diritti sindacali da parte dei lavoratori da remoto, il quale solitamente prevede a tal fine l’attivazione di appositi strumenti quali bacheche elettroniche o spazi virtuali all’interno dei quali svolgere le assemblee (Adapt, 2021).
Considerare la gestione delle attività quotidiane del sindacato come il principale problema della rappresentanza in un contesto di lavoro ‘dematerializzato’ significa però cogliere solo un aspetto dei potenziali impatti sulle relazioni industriali. Non è da sottovalutare, infatti, come il progressivo decentramento di molti lavoratori rispetto alla propria sede di lavoro potrebbe avere pesanti ricadute per quanto concerne il radicamento territoriale dell’associazione sindacale, con tutte le conseguenze relative alla capacità di incidere sui processi negoziali all’interno delle imprese della zona. Specularmente, si possono prevedere anche criticità per quanto concerne il processo di affiliazione in senso stretto inteso: l’individualizzazione delle esperienze quotidiane dei lavoratori e la riduzione dei momenti informali di scambio tra gli stessi potrebbero infatti portare il lavoratore a considerarsi sempre più come una singola unità autonoma e indipendente e perciò non necessitante di una protezione collettiva come quella del sindacato.
Simili ragionamenti possono essere compiuti per quanto concerne la rappresentanza territoriale di tipo datoriale: l’assenza di luoghi di lavoro tradizionalmente intesi rende difficile identificare le specifiche esigenze produttive delle imprese connesse al territorio nelle quali sono radicate.
Infine, non si può non menzionare come l’impatto della virtualizzazione dei rapporti di lavoro sulla rappresentanza possa avere potenziali effetti dirompenti sui processi di contrattazione collettiva dei settori all’interno dei quali il lavoro da remoto può diffondersi in maniera importante (Depalo, Giorgi, 2021). Ragionando in termini assoluti, infatti, a una significativa dematerializzazione dei luoghi di lavoro potrebbe addirittura inoltre conseguire la perdita di rilevanza o, addirittura, la totale dismissione di un intero livello di contrattazione, ossia quella territoriale, solitamente parametrata sulle caratteristiche e sulle esigenze delle attività produttive localizzate in una determinata zona del Paese. Al contrario, la medesima dinamica potrebbe invece rivitalizzare tale dimensione se si concepiranno sempre più i territori come un esteso luogo di lavoro, fatti di infrastrutture materiali e immateriali che abilitano a un’attività diffusa senza stabilità spaziale.
La pandemia come occasione di rinnovamento
Con le osservazioni appena riportate non si vuole affermare che il lavoro agile e le trasformazioni geografiche a esso connesse costituiscano la scintilla che darà luogo alla definitiva crisi della rappresentanza e della contrattazione collettiva come strumenti di regolazione dei rapporti di lavoro nei settori ad alta remotizzabilità. Le associazioni di rappresentanza, infatti, sono chiamate alla sfida, non certo facile, di immaginare e praticare soluzioni che, da una parte, siano in grado di gestire le difficoltà collegate alle nuove modalità di lavoro e, dall’altra, consentano di sfruttare al meglio le novità apportate dall’innovazione tecnologica. Gli strumenti di videoconferenza, per esempio, facilitano grandemente la comunicazione tra le sedi territoriali delle associazioni di categoria, le quali potrebbero di conseguenza introdurre iniziative coordinate sui diversi territori di competenza. Così come luoghi virtuali di comunicazione e di esercizio della rappresentanza potrebbero essere complementari ai luoghi fisici, che andranno comunque preservati, magari non nella forma tradizionale.
Si potrebbe per esempio pensare alla messa a disposizione, all’interno dei locali del sindacato o degli enti bilaterali, di spazi di co-working all’interno dei quali gli Smart worker possano svolgere la propria prestazione fianco a fianco a lavoratori della medesima categoria, favorendo dunque sia momenti di socialità tra gli stessi sia il mantenimento del contatto con l’associazione di rappresentanza di appartenenza.
Seppur non in forma così avanzata, un simile approccio è già contenuto nell’Accordo interconfederale regionale sul lavoro agile per le imprese artigiane e le Piccole e medie imprese (PMI) del Veneto, siglato a fine 2019, all’interno del quale le parti firmatarie si riservano di valutare l’opportunità di prevedere specifiche forme di sostegno per l’accesso ai luoghi di co-working, identificando lo stesso come un mezzo per “contribuire ad una ridefinizione dei luoghi e della geografia del lavoro più sostenibile per le persone ed i territori” (art. 13).
I cambiamenti richiedono nuove tutele per i lavoratori
In questo discorso c’è spazio affinché i contenuti della contrattazione si rinnovino, affrontando in misura maggiore la dimensione organizzativa, magari introducendo forme di partecipazione organizzativa che riguardino direttamente le eventuali criticità di nuove modalità di lavoro. Questo consentirebbe ai rappresentanti dei lavoratori, a livello aziendale, di essere punti di riferimento delle problematiche connesse al lavoro da remoto anche per lavoratori che difficilmente incontrerebbero fisicamente. La co-progettazione di una organizzazione del lavoro che chiede maggior autonomia ai lavoratori è infatti una strada per non far sì che sotto il cappello della responsabilizzazione e della modernità si celino nuove forme di controllo e di richieste di lavoro eccessive, sia a livello temporale sia a livello psicologico.
Un insieme di sfide complesso, quindi, che si incrocia con più ampie prove già in corso e connesse al processo di sempre più costante di digitalizzazione del lavoro. La remotizzazione infatti si incontra anche con l’internazionalizzazione dei mercati del lavoro, con la sempre maggior possibilità di reclutare su piattaforma lavoratori da ogni parte del mondo. Una dinamica che genera una frammentazione che rende molto complessa l’attività di rappresentanza dei lavoratori, ma allo stesso tempo una sfida per chi ha l’urgenza di trovare strade per rappresentare nuovi bisogni, più connessi alle particolarità che la digitalizzazione apre, come le nuove frontiere della conciliazione vita-lavoro, della gestione autonoma dei tempi di lavoro, delle carriere discontinue. Le nuove generazioni che sono entrate nel mercato del lavoro si trovano quotidianamente di fronte a tali problematiche, spesso di natura organizzativa, che non hanno di solito nel sindacato un interlocutore immediato, ma che potrebbero invece averlo a fronte di un rinnovamento delle strategie di rappresentanza e dell’introduzione di nuove frontiere di tutela.
L’occasione della pandemia può quindi rivelarsi uno spartiacque per chi è nato con la funzione di rappresentare i bisogni dei lavoratori: una evoluzione verso l’individuazione di tutele moderne può essere una svolta; la conservazione di un approccio che, da tanti punti di vista, difficilmente intercetta i bisogni, può al contrario essere un rischio troppo grande da gestire.
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Presidente di Fondazione ADAPT e Assegnista di Ricerca all’Università di Modena e Reggio Emilia
Smart working, sindacato, Adapt, relazioni industriali