Le tre del mattino
La necessità di un consulto presso un medico, che dovrà decretare l’efficacia della cura di una rara forma di epilessia, porta padre e figlio a Marsiglia. Nella città del Sud della Francia si snoda il bellissimo racconto di Gianrico Carofiglio Le tre del mattino. Il medico potrà essere sicuro dell’efficacia della cura solo se il ragazzo sarà in grado di superare senza crisi la ‘prova dello scatenamento’: dovrà rimanere sveglio per due giorni consecutivi. Superate le 48 ore –e solo allora– il ragazzo potrà considerarsi guarito. Una prova durissima per entrambi, soprattutto per il padre, che sente su di sé la responsabilità di non far addormentare il figlio senza cadere stremato dalla fatica a sua volta.
Il tempo passato insieme, non potendo dormire, si moltiplica e il viaggio, come spesso accade, è l’occasione per colmare distanze accumulate nel corso degli anni. La stanchezza, che raggiunge livelli estremi, li porta a provare emozioni quasi irreali proiettandoli in una dimensione parallela, dalla quale osservano se stessi riscoprendosi diversi. La ‘prova dello scatenamento’ funziona e il ragazzo, una volta guarito, seguirà le orme del padre.
Racconto di questo bel romanzo letto qualche anno fa perché trovo molte analogie con la situazione che stiamo vivendo in questi giorni. Improvvisamente mi trovo a lavorare da casa e un appartamento, solitamente deserto, ora è sovraffollato. L’aspirante biotecnologo, che si era trasferito in un’altra città, ha fatto ritorno al suo domicilio, mentre l’aspirante filosofo, con il quale bisognava fissare un appuntamento per trovarsi a cena e con largo anticipo, va a giocare a basket in cortile come 10 anni fa. E poi ci sono io, che nel giro di poche ore mi sono vista rivoluzionare tutti gli equilibri.
Sono in ottima compagnia e, a ben guardare, me la passo molto meglio rispetto ai colleghi che devono convivere con bimbi piccoli che, giustamente, reclamano molte più attenzioni. I miei due ‘aspiranti qualcosa’ non avanzano, per ora, richieste impegnative. Certo, un’ottima cena è un buon sedativo, non potendo uscire. Lo Smart working forzato per tutti impone nuovi ritmi, richiede di rimettere in discussione equilibri che non avremmo mai pensato di riconsiderare.
Lo Smart working impone una convivenza all’interno della quale ognuno pretende, giustamente, di portare a termine quel che deve fare. All’interno di spazi che non sempre sono adeguati. L’aspirante filosofo, per esempio, non studia in camera sua. Preferisce la sala da pranzo: “C’è un tavolo più grande”, dice. Quindi ora è installato lì a scrivere la sua tesi, disposto a cedere un angolo del tavolo solo per consentirci di apparecchiare.
E poi ci sono gli aiuti che vengono a mancare. Lavare e stirare sono lavori che poco si addicono a essere svolti in modalità smart. Ed eccoci tutti concentrati, oltre a fare quel che dobbiamo, anche a evitare che il nostro ecosistema non si comprometta irreparabilmente. Con il nostro Pianeta non ci stiamo riuscendo benissimo, tra le mura domestiche cerchiamo di non tirare troppo la corda.
Infine c’è la paura. I due aspiranti qualcosa non sono troppo intimoriti dalle circostanze, in verità. Ma sono giovani, vedremo lo svolgersi degli eventi. Ma chi lavora, ed è costretto all’isolamento, è chiamato a fare un bell’esercizio su di sé. Perché l’isolamento è una prova dura, la tecnologia ci tiene in contatto con i colleghi, ma bisogna cambiare modo di lavorare. E poi le tecnologie devi saperle usare. Se fino a ieri ti alzavi e andavi a chiedere aiuto al collega, oggi devi cavartela da solo. Non ti puoi addormentare, per tornare al romanzo.
Alla paura del futuro, come racconta Ugo Morelli nel suo articolo che pubblicheremo sul prossimo numero di Persone&Conoscenze, si aggiunge la paura di perdere conoscenze e competenze. Quando Morelli ha scritto il suo articolo il Covid-19 non aveva ancora fatto la sua comparsa nelle nostre vite, ma lo spettro della paura di emarginazione, di agenti indefiniti che creano un clima di disagio e indifferenza può farsi spazio nelle nostre vite e potremo resistergli solo se, mossi da una feroce determinazione, metteremo tutte le nostre energie per superare la ‘prova dello scatenamento’ che, come nelle pagine del romanzo, sospende le nostre vite per un periodo, ma non le annulla. Anzi, può essere questa un’occasione straordinaria per guardare al nostro quotidiano da un altro piano e, complice il freno a mano che siamo stati costretti a tirare ai nostri ritmi spesso inutilmente accelerati, prenderci del tempo per osservarci da fuori, dalla bolla all’interno della quale siamo immersi. Perché prima o poi ognuno dalla sua bolla uscirà, ma nessuno sarà più come prima.
Smart working, covid-19, Gianrico Carofiglio, Ugo Morelli