L’eterna ricerca del miglior posto di lavoro

Se in un primo tempo l’ha forse frenata, ora l’incertezza economica dovuta alla pandemia ha fatto ripartire la mobilità di carriera. Chi si mette in cerca di una nuova occupazione spera in migliori condizioni economiche e di lavoro, per fronteggiare un periodo in continuo mutamento. I campioni del job hopping – letteralmente, il salto da un lavoro all’altro – sono i giovani: nel 2021 ci si attende che il trend sia dominato da Millennial e Generazione Z.

Un lavoratore su quattro pianifica di cambiare occupazione nell’arco del 2021 e il dato è in crescita rispetto al 2019. Secondo uno studio condotto dall’Institute for Business Value di IBM, nel 2020 ha cambiato lavoro una persona su cinque. Di questi, il 33% era identificabile come Generazione Z e il 25% come Millennial.

La società di analisi e consulenza Gallup descrive i Millennial, ovvero i nati tra i primi Anni 80 e la metà degli Anni 90, come la generazione più propensa al mutamento di carriera e suggerisce che sei su 10 siano aperti a nuove opportunità di lavoro. L’idea che siano i più giovani ad aver creato questo trend è però un errore. Ogni generazione ‘salta’ da una posizione all’altra nei primi anni di esperienza professionale, in cerca del percorso di carriera più giusto. Anzi, i dati suggeriscono che i Millennial stiano facendo lo stesso, ma in tempi molto più lenti rispetto alla generazione precedente.

La ricerca di condizioni migliori di lavoro

Ora che negli Stati Uniti la fase più critica della pandemia sembra alle spalle e la campagna di vaccinazione procede spedita in tutto il Paese, le persone intravedono una ripresa di settori rimasti a lungo fermi e sono meno preoccupate di lanciarsi in nuovi ambiti professionali. D’altronde, il ruolo dei Millennial nel mercato del lavoro sta crescendo di importanza. Secondo le stime del Us Census Bureau, a luglio 2019 i nati tra il 1981 e il 1996 hanno superato i Baby Boomer come fascia di popolazione attiva e rappresentano ormai più di un terzo della forza lavoro statunitense.

Le principali ragioni del job hopping sono presto dette: desiderio di maggiore mobilità di carriera e stipendi più alti, ma anche la ricerca di posizioni che li valorizzino, soprattutto per chi proviene da contesti privi di riconoscimenti e feedback trasparenti da parte dei capi. I più giovani vogliono anche un miglior equilibrio tra lavoro e vita privata, maggiori benefit e supporto sul lavoro, ma cercano anche uno sviluppo di competenze che possa qualificarli per posizioni superiori.

I frequenti cambi di carriera non sembrano destare più allarme neppure tra i recruiter. Passare da una posizione all’altra o da un’azienda all’altra sta diventando sempre più comune e accettato. La pandemia sta contribuendo a eliminare lo stigma sul job hopping, anche perché le aziende si stanno aprendo a profili un tempo meno considerati: l’esperienza ha acquistato valore, anche in assenza di titoli, e la provenienza geografica non è più un limite.

Fonte: CNBC

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Giorgia Pacino

Articolo a cura di

Giornalista professionista dal 2018, da 10 anni collabora con testate locali e nazionali, tra carta stampata, online e tivù. Ha scritto per il Giornale di Sicilia e la tivù locale Tgs, per Mediaset, CorCom - Corriere delle Comunicazioni e La Repubblica. Da marzo 2019 collabora con la casa editrice ESTE. Negli anni si è occupata di cronaca, cultura, economia, digitale e innovazione. Nata a Palermo, è laureata in Giurisprudenza. Ha frequentato il Master in Giornalismo politico-economico e informazione multimediale alla Business School de Il Sole 24 Ore e la Scuola superiore di Giornalismo “Massimo Baldini” all’Università Luiss Guido Carli.

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