
L’euforia del nuovo
“Se vuoi migliorare te stesso, viaggia”, diceva Goethe. Mettere in gioco noi stessi in luoghi che non conosciamo e ci obbligano a esprimerci in una lingua diversa, a orientarci senza riferimenti familiari, a interagire con persone che hanno codici di comportamento che non coincidono con i nostri, è sfidante. Significa uscire dalla zona di comfort e iniziare a ‘giocare’ in un campo di gioco con regole diverse, che non conosciamo a fondo: se prendiamo a esempio le culture orientali sappiamo che, condividere una lingua comune – l’inglese – potrebbe non bastare per intavolare una comunicazione efficace. Banalmente, un cinese che dice “sì” potrebbe non volere rispondere del tutto affermativamente: le risposte possono contenere sfumature che è importante conoscere.
La globalizzazione ha portato punti vendita tutti uguali in ogni parte del mondo, ma questo non basta ad accorciare le distanze. E molti di noi tendono a scegliere spesso le stesse mete – ancorché lontane – proprio perché, dopo frequentando assiduamente un Paese straniero, alla fine abbiamo la sensazione di sentirci a casa. In questo caso ricreiamo la nostra zona di comfort. È umano, anche se è allenandoci a uscire dalle aree protette che ci costruiamo: è un po’ come dotarsi di anticorpi che ci consentono di mitigare la vulnerabilità alla quale ci espone l’incertezza del presente. È un allenamento difficile e sono spesso i più giovani a decidere di mettersi in gioco. Lo testimoniano i racconti della Storia di copertina e le due esperienze del numero di Dicembre 2024 di Persone&Conoscenze, molto diverse, che raccontano un vissuto nel quale le protagoniste si sono messe autenticamente in gioco.
Partiamo da Laura Pagliuca, già grafica di ESTE, alla quale basta costruire una zona di comfort per decidere immediatamente di abbandonarla. Lasciare l’Abruzzo per studiare al Politecnico di Milano non era un passaggio scontato. Certamente, l’influenza di una mamma che si è messa alla prova lontano da casa e la creatività del papà hanno influenzato il corso della storia. Il lavoro dopo l’università arriva e Laura è incamminata in un percorso di crescita che conduce a una nuova comfort zone che, però, suscita il desiderio di nuove sfide. Decide di trasferirsi in Australia, dove si trova tutt’ora. Fino a quando? Non lo sappiamo; quel che è certo è che Laura ha un bagaglio che la accompagnerà in ogni viaggio, vale a dire l’importanza di capire l’essenza del lavoro e le condizioni che lo determinano, secondo il principio work better live better, con maggiori soddisfazioni personali e professionali.
Diverso il percorso di Beatrice Baldaccini, Group Chief People e Brand Officer di Umbragroup. Dopo qualche esperienza entra nell’azienda di famiglia e, grazie alla sua laurea in Psicologia del Lavoro e delle Organizzazioni, si occupa di risorse umane. Parte per gli Stati Uniti dove l’azienda ha una sede. E che cosa fa? Investe negli spazi, in modo da creare ambienti di lavoro dove sia desiderabile lavorare. Un passaggio non scontato in un territorio dove la contrattazione è differente dalla nostra. Si poteva lasciare tutto così, non vi erano richieste esplicite, ma Beatrice decide di dare una sua impronta e portare un cambiamento di cui beneficerà tutto il sistema di attraction. Interpreta a suo modo il dream big americano, permettendo a tutti di pensare in grande, senza limiti di carriera. Del resto, come diceva Newton, per vedere lontano bisogna salire sulle spalle dei giganti e non temere confronti. Ed è la consapevolezza delle proprie capacità, e anche dei propri limiti, il grande valore che queste esperienze lasciano in eredità. Un’eredità che dobbiamo augurarci i nostri giovani vogliano spendere nel nostro Paese che, tuttavia, non si dimostra troppo amico delle giovani generazioni.
Stiamo vivendo una situazione che si stia polarizzando anche da questo punto di vista: da una parte giovani formati e motivati a trovare un ‘posto nel mondo’ e dall’altra giovani che escono dalla scuola con una preparazione totalmente inadeguata per affrontare il mondo del lavoro. Il Censis ha definito la nostra scuola la “fabbrica di ignoranti” e, con dovizia di numeri, il rapporto del 2024 ci mette di fronte a scenari nei confronti dei quali non possiamo rimanere indifferenti. Ci interroghiamo su come creare una cultura del lavoro, come creare ambienti dove si alimenta un clima di fiducia ma, come cittadini, dobbiamo prima chiederci quali potranno essere le conseguenze di un sistema scolastico che abdica al proprio obiettivo, che è fornire competenze di base sulle quali innestare nuove conoscenze. Il rischio è che i più bravi e talentuosi scelgano di andarsene dove il talento ha, anche, una sua valorizzazione economica. E che qui rimanga chi a uscire dalla propria zona di comfort non ha nemmeno mai provato. A queste condizioni, mantenere una posizione tra i grandi Paesi industrializzati sarà sempre più faticoso.
Per informazioni sull’acquisto di copie e abbonamenti scrivi a daniela.bobbiese@este.it (tel. 02.91434400)
