L’HR e la sfida dei Maverick (talenti ribelli)
Stiamo vivendo in un nuovo Rinascimento dal punto di vista umano, siamo in una fase in cui è necessario trovare nuove prospettive, nuovi modelli, un po’ come quando il Brunelleschi, all’inizio del Quattrocento, attraverso studi ed esperienze condotte con l’aiuto di strumenti ottici, pervenne a un procedimento metodologico con evidenza scientifica per rappresentare gli edifici in prospettiva e che illustrò graficamente in due tavolette raffiguranti rispettivamente il Battistero visto dalla porta di Santa Maria del Fiore e la piazza della Signoria e Palazzo Vecchio.
Il fulcro si sposta fondamentalmente sul concetto di prospettiva meglio definita come “un insieme di proiezioni e di procedimenti di carattere geometrico-matematico che consentono di costruire l’immagine di una figura dello spazio su un piano, proiettando la stessa da un centro di proiezione posto a distanza finita”. E proprio sul concetto di prospettiva che si definisce l’approccio al capitale umano del nuovo HR manager.
Le prospettive, quindi, ci aiutano a dare forma alle cose che diversamente vivrebbero in una realtà a due dimensioni, ma come sempre è l’uomo a darne la prospettiva. L’AI, l’Internet of Things e tutto il mondo della robotica nelle aziende andrebbero viste e affrontate con una diversa prospettiva; come un universo fatto in 2D dove colui che gestisce le risorse umane, il nuovo Manager 5.0 – preferisco chiamarlo “HR Manager 3D” – ha il compito di analizzare le diverse sfaccettature dei suoi collaboratori per far sì che quella forma bidimensionale possa ‘vivere’ diventando una figura tridimensionale dalla quale emergono conoscenze, abilità e competenze dei collaboratori.
L’HR Manager 3D, grazie ai processi di digitalizzazione, si trova a gestire soluzioni focalizzate sulle persone assumendo un ruolo diverso dal passato. Questa figura sempre più diventa il fulcro delle decisioni strategiche, ha la mission di trovare e gestire talenti, ma la vera sfida è sviluppare negli stessi il senso di appartenenza fuori da logiche predefinite come in passato quali posto di lavoro, orari di lavoro e valutazione delle performance.
Il capitale umano diventa quindi il vero motore delle aziende che hanno come leva per la competitività il talento e la gestione degli stessi; ed è qui che prende forma la figura del “Maverick”.
Incoraggiare i dipendenti a essere ribelli
La parola “Maverick” viene dagli Usa ed era il nome di un capo cowboy che lasciava liberi i propri buoi e non li marchiava perché contrario alla sofferenza. Successivamente il termine è stato usato per indicare tutti i giovani capi di bestiame.
Francesca Gino della Harvard Business School li identifica come “talenti ribelli”: infatti nel suo libro Talento ribelle, riprendendo le orme del ‘padre’ dell’economia comportamentale Richard Thaler – premio Nobel nel 2017 – afferma “siate ribelli e incoraggiate a essere ribelli anche i vostri dipendenti”, identificando i ribelli con cinque talenti essenziali.
Per prima cosa c’è la novità, andare alla ricerca di mondi nuovi per far sì che non si facciano “cose nuove in modo vecchio, né cose vecchie in modo nuovo, ma cose nuove in modo nuovo”; poi c’è la curiosità, essere curiosi e chiederci sempre il perché in ogni cosa come nel famoso diagramma di Ishikawa; quindi la prospettiva, ovvero la capacità di guardare le cose con occhi diversi e con angolazioni differenti in modo tale da avere quella famosa visone 3D; la diversità consiste, invece, nell’approcciare e nell’essere diversi da stereotipi legandosi più a conoscenze e competenze; l’autenticità, infine, è lo sviluppare quel senso di unicità come elemento di differenziazione che diventa anche un’arma di difesa, o di attacco, all’avvento dell’AI.
Sempre di più le aziende, seguendo l’esempio di Steve Jobs e di Richard Branson (fondatore di Virgin), ritengono che per ottenere di più dai propri dipendenti bisogna lasciarli liberi, in un contesto di benessere aziendale. “Maverick”, nella sua volontà di marchiatura, evidenzia la sottile, ma sostanziale differenza che c’è tra il leader e il capo.
Il capo sente il bisogno di avere dei seguaci accerchiandosi di Yes Man legandoli a sé con vincoli sottomissivi un po’ come facevano i capi cowboy che marchiavano il proprio bestiame per far sì che gli altri li riconoscessero; tutto il contrario di Maverick che li lasciava liberi senza marchiarli e nonostante ciò il bestiame tornava dal padrone-leader, perché aveva sviluppato in loro un senso di legittimazione.
La differenza sostanziale tra il capo e il leader è quindi la legittimazione: chi è legittimato non esercita potere coercitivo, ma autorevolezza. La Storia ci insegna che il gregge e la folla si muovono per circostanze e saranno i primi a tradire, e la folla, si sa, sceglie sempre “Barabba”.
La sfida gestionale in capo agli HR Manager
Il futuro in azienda tende alla giusta valorizzazione del tempo, apportando modifiche per far stare bene i collaboratori che, in un contesto positivo, non lavorano più per lo stipendio, ma perché si sentono parte di un gruppo (come ci insegna Maslow quando parla di appartenenza nella famosa Piramide dei bisogni).
I Maverick, così come vengono definiti nella lingua anglosassone, sono persone impazienti, tendenzialmente si tratta di persone che non devono essere arginate in un perimetro. Il senso di irrequietezza che li caratterizza sfocia in grandi peculiarità: senso dell’umorismo, ossessione per i dati, capacità di creare empatia, forte pensiero critico che spesso sfocia nella genialità.
Sono figure tendenzialmente giovani frutto dell’era digitale perché hanno imparato, sin da piccoli, a vedere gli strumenti informatici come un mezzo e non un fine. In Italia spesso questa figura viene identificata con quella dell’Innovation manager, profilo che deve avere un lato creativo, ma che deve stare comunque a regole ben definite.
Essere Maverick è una qualità molto più presente nei giovani per esigenze sociali e personali. Oggi si è persa la concezione della sicurezza. La Piramide dei bisogni di Maslow si sgretola con la possibilità, offerta ai datori di lavoro, di licenziare con più facilità. I 20enni e i 25enni di oggi sono cresciuti con la concezione del “non c’è lavoro” e con la scarsa sicurezza che ne deriva. Non hanno il retaggio culturale del posto fisso e del lavoro a tempo indeterminato, sono culturalmente abituati a un linguaggio diverso.
Gestire queste risorse quindi è sempre più complesso per l’HR Manager 3D, ma quello che oggi può essere un punto di debolezza sicuramente sarà un punto di forza di domani. Il nuovo HR Manager ha dunque il compito di trasformare le risorse umane da “forme in 2D a “figure 3D” incoraggiando curiosità, creatività e pensiero laterale, prospettiva e autenticità perché solo con queste risorse e con un approccio bottom up le aziende potranno aiutare le organizzazioni a essere competitive in un mercato in continua evoluzione.
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