Licenziamenti, il liberi tutti non risolleverà l’economia

In attesa del via libera, gli studi dei consulenti del lavoro sono da tempo al lavoro sulle richieste delle aziende.

Il blocco dei licenziamenti è stato una delle prime misure straordinarie adottate dal Governo per far fronte allo stato di emergenza sanitaria, che poi è diventata anche economica. Attuato inizialmente fino a giugno 2020 e prorogato in seguito sino al 31 dicembre 2020, il provvedimento è destinato a concludersi, nonostante il protrarsi dello stato emergenziale.

Era stato annunciato un autunno caldo proprio per gli effetti sul mercato del lavoro (attenutati dalla misura governativa), ma il redde rationem è destinato ad arrivare con l’inizio del 2021. E secondo fonti di Parole di Management gli studi dei consulenti del lavoro – che non hanno confermato la decisione del Governo sul provvedimento – sono impegnati da tempo nel soddisfare le numerose richieste di aziende che non aspettano altro che il via libera al licenziamento.

Tuttavia, Roberto Corno, Consulente del lavoro, non è particolarmente preoccupato dalle ricadute di un eventuale ritorno allo stato pre-Covid. A suo avviso, infatti, la norma aveva già in origine profili di incostituzionalità, limitando, di fatto, la libertà (che è anche responsabilità) dei datori di lavoro. E anche per i lavoratori, paradossalmente, essa implicava una limitazione dei diritti, non permettendo di fruire degli incentivi alla riassunzione previsti per chi ha perso il lavoro.

Per contro, è senz’altro vero che tale misura emergenziale, un unicum nel nostro ordinamento, ha evitato atteggiamenti speculativi da parte delle aziende. Una sorta di moratoria con aspetti positivi, dunque, che ora, venendo meno, potrebbe causare un aumento della disoccupazione, sebbene la situazione non sia significativamente differente rispetto a quando è stata varata. Secondo Corno il problema potrebbe sussistere, soprattutto, per i lavoratori a bassa professionalità o con mansioni non rilevanti per il mercato attuale. Infatti, le aziende italiane paiono aver attutito bene il colpo della crisi derivata dalla pandemia.

Alcune tipologie di lavoro, però, già in condizioni di normalità apparivano meno appetibili per il mercato. Per queste professionalità fragili, dunque, non servono incentivi ad hoc per la pandemia, ma misure stabili. Queste, in parte, esistono già sulla carta, ma faticano a trovare applicazione. È il caso, per esempio, dell’esonero contributivo per chi ha utilizzato la cassa integrazione con la causale “Covid” del decreto Cura Italia, ma poi non ha chiesto gli ulteriori ammortizzatori previsti dal decreto Agosto: la legge c’è, ma l’Inps non ha ancora rilasciato le norme applicative, rendendola, nei fatti, inutilizzabile.

Ridurre il cuneo fiscale per le aziende in crisi

Ciò che serve ora per mantenere il tasso di occupazione su livelli stabili è, secondo Corno, una pianificazione più lungimirante, prevedendo, per esempio, una significativa riduzione del cuneo fiscale per le aziende in crisi. Non necessariamente una cassa integrazione selettiva, dunque, ma formule innovative di sgravio fiscale e contributivo settoriale.

Un’altra misura utile è il ‘fondo nuove competenze’, rifinanziato proprio ad agosto 2020: esso apre la possibilità alle competenze più basse (o inadeguate alle richieste) di poter fruire di una formazione specifica in azienda. Le ore relative a tale riqualificazione sono pagate all’ente previdenziale, proprio come avviene per la cassa integrazione. Ma, a differenza di quest’ultima, non siamo di fronte a un mero ammortizzatore sociale, bensì a un’iniziativa che ha potenziali ricadute positive direttamente sulle competenze professionali dei lavoratori coinvolti.

Infatti, in tal modo, le professionalità inadeguate possono essere riconvertite, mantenendo il rapporto di lavoro in essere. Il limite principale del fondo, finanziato fino a fine 2020, è il suo assoggettamento agli accordi sindacali: questo esclude le piccole imprese, che sono quelle più diffuse e, allo stesso tempo, più sofferenti, in questo momento, in Italia.

Dunque, secondo Corno, oltre a prevedere buone norme occorre accompagnarle con un solido sistema di attuazione delle stesse. Per minimizzare il danno degli eventuali licenziamenti che avverranno nel 2021 – inevitabile che avvengano – è necessario prevedere incentivi significativi per le imprese, più incisivi degli attuali sei mesi di sgravio contributivo, previsti, peraltro, per le sole assunzioni a tempo indeterminato. Per far ripartire la nostra economia occorre puntare su misure meno di ‘etichetta’ e più di sostanza, spostando l’attenzione sui lavoratori fragili e sulla reale efficacia ed applicabilità dei provvedimenti, non solo sull’efficienza legislativa.

Roberto Corno, cuneo fiscale, blocco licenziamenti, fondo nuove competenze, bassa professionalità


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Chiara Pazzaglia

Bolognese, giornalista dal 2012, Chiara Pazzaglia ha sempre fatto della scrittura un mestiere. Laureata in Filosofia con il massimo dei voti all’Alma Mater Studiorum – Università degli Studi di Bologna, Baccelliera presso l’Università San Tommaso D’Aquino di Roma, ha all’attivo numerosi master e corsi di specializzazione, tra cui quello in Fundraising conseguito a Forlì e quello in Leadership femminile al Pontificio Ateneo Regina Apostolorum. Corrispondente per Bologna del quotidiano Avvenire, ricopre il ruolo di addetta stampa presso le Acli provinciali di Bologna, ente di Terzo Settore in cui riveste anche incarichi associativi. Ha pubblicato due libri per la casa editrice Franco Angeli, sul tema delle migrazioni e della sociologia del lavoro. Collabora con diverse testate nazionali, per cui si occupa specialmente di economia, di welfare, di lavoro e di politica.

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