Licenziamento

Licenziare con stile (mettendoci la faccia)

Negli ultimi mesi hanno affollato le pagine dei giornali vicende di licenziamenti, individuali o collettivi, avvenuti tramite videochiamate o messaggistica. Attraverso, quindi, quelle modalità d’interazione che a partire dalla pandemia si sono imposte nelle comunicazioni ancor più di quanto già non stesse accadendo prima. Secondo i dati del 17esimo rapporto del Centro studi investimenti sociali (Censis) sulla comunicazione, nel 2021 l’utilizzo degli smartphone è salito all’83% (crescendo rispetto al 2019 dell’8% circa) e anche nelle fasce di età più alte (dai 65 anni in su) gli utenti dei social media sono passati dal 36% al 48% e l’impiego di internet è salito dal 42% al 51%. E a quanto sembra si è diffuso anche l’uso per i licenziamenti.  

Hanno fatto ricorso alla ‘virtualità’ per interrompere rapporti lavorativi il sito che offre mutui per l’acquisto di case Better.com il cui CEO Vishal Garg ha licenziato 900 dipendenti con una videochiamata su Zoom e quello della multinazionale di cablaggi e sistemi di distribuzione elettrica Yazaki che ha congedato via Teams tre dipendenti. Su quest’ultima vicenda a dicembre 2021 si è espresso anche il Ministro del Lavoro Andrea Orlando, denunciando come tale condotta non corrispondesse alle indicazioni della Costituzione italiana. 

Avvenimenti come questi portano a chiedersi quale sia il giusto modo di affrontare un processo delicato, ma che fa parte della vita aziendale, come il licenziamento. Le normative sono chiaramente il punto di partenza, ma anche muovendosi all’interno dei confini da esse indicati la sensibilità delle aziende nel portare avanti tale pratica gioca un ruolo fondamentale, il vero ago della bilancia. Non basta un legale per gestire la fine di un rapporto lavorativo, esattamente nello stesso modo in cui non basta per gestire un divorzio, la fine di una storia d’amore. Il solo modo che potremmo definire ‘etico’ di licenziare passa per comportamenti che nella sfera giuridico-legislativa non trovano posto. 

Colloqui brevi e concreti e outplacement adeguato per licenziare ‘bene’ 

Abbiamo provato a ragionare sul tema con Gabriele Ghini, Head Hunter dalla lunga esperienza e autore del libro Diario di un cacciatore di teste (ESTE, 2018). Partiamo da un presupposto condiviso con Ghini: licenziare è orribile. Egli stesso ricorda il giorno in cui fu lasciato a casa insieme con diversi altri dipendenti poiché l’azienda per la quale lavorava decise di chiudere la filiale italiana. “È stata l’esperienza più devastante della mia vita. A quell’epoca abitavo a Verona e quando uscii dall’ufficio ero disperato. E quelli erano anni in cui trovare lavoro, almeno nel mio settore, non era difficile. Scordarmi di quel momento è impossibile: è anche per questo che ancora oggi presto particolare attenzione a questo aspetto”, spiega il Cacciatore di Teste. Posta questa doverosa premessa, può, però, succedere di dover licenziare. E una volta avvenuto il confronto con un avvocato o un consulente del lavoro si entra nel terreno di quella che l’esperto invoca come “intelligenza sociale”. 

Il problema non sono tanto Zoom o Teams. Chi ha scelto quella modalità per licenziare i propri dipendenti, spiega l’Head Hunter, con ogni probabilità si sarebbe comportato in maniera scorretta, poco sensibile o irrispettosa anche se il colloquio si fosse svolto di persona. La virtualità non fa che riprodurre pratiche e atteggiamenti che trovano ampio spazio anche fuori da quella dimensione e che ruotano intorno alla scelta, consapevole o meno, di non attribuire la giusta dignità alla fine di un rapporto lavorativo e alla persona coinvolta. “Credo che troppe volte l’approccio al licenziamento sia da codardi. Temendo la reazione dell’interlocutore si preferisce congedarlo, per esempio, il venerdì pomeriggio in fretta e furia lasciando cinque minuti per sgombrare l’ufficio. Per me è fondamentale preparare il dipendente con un certo anticipo”. Inoltre, prosegue Ghini, l’incontro deve essere basato su fatti concreti: è poco utile dire a qualcuno che non ha voglia di lavorare, con il rischio tra l’altro di risultare offensivi, mentre mostrare i risultati reali accompagna la persona verso la conclusione che porta la sua strada a separarsi da quella dell’azienda 

Un altro aspetto importante riguarda le tempistiche del colloquio di licenziamento: per l’Head Hunter dev’essere breve, cinque minuti al massimo. Non è quella la sede per discussioni e approfondimenti che possono piuttosto essere affrontati in un secondo momento. Ma la pratica forse più determinante nel rendere un licenziamento ‘etico’ è offrire tutto il sostegno perché una persona, che già in quel momento si percepisce come ferita e fallita, si senta tale il meno possibile. Per esempio si può mettere a disposizione un servizio di supporto psicologico, garantendo strumentazione e supporto per la gestione di aspetti come la stesura del curriculum e, soprattutto, mobilitandosi per indirizzare l’ormai ex dipendente verso un lavoro alternativo. “Si possono mettere in piedi operazioni di valore e poco costose per dare una mano effettiva nell’outplacement. Questo ha un peso anche per la reputazione dell’azienda stessa”, sottolinea Ghini, evidenziando i vantaggi dell’attività di ricollocazione dei lavoratori nel mercato del lavoro puntando sulla riqualificazione delle persone in contesti differenti con effetti positivi anche sull’immagine dell’organizzazione. 

Stile e non sostanza 

Se queste sono le basi teoriche del ‘giusto’ licenziamento, resta poi da metterle in pratica, cercando di fare in modo che le emozioni che entrano in gioco in questo processo non compromettano il percorso che deve mantenersi sulla retta via anche da un punto di vista prettamente utilitaristico: “Il mondo del lavoro e la business community non hanno dimensioni sconfinate; se una volta ti licenzio, la volta successiva le parti potrebbero invertirsi”, dice l’Head Hunter.  

Una possibilità che vale anche nel caso, differente, delle dimissioni volontarie. Ci sono persone che rassegnano le dimissioni e, dopo qualche anno, sono ricontattate dal vecchio capo in un’altra azienda: “Queste storie sono straordinarie, poiché significa che non solo si è lavorato bene, ma ci si è lasciati altrettanto bene”, racconta Ghini. Licenziamenti e dimissioni sono, quindi, momenti importanti nei quali emerge l’intelligenza sociale delle parti. Guai a prenderli come l’occasione per togliersi i sassolini dalle scarpe. 

“Quasi sempre siamo riusciti a evitare di andare in causa, per la strategia legale utilizzata, ma soprattutto per la sua applicazione, che prendeva in considerazione anche le persone da licenziare, con le loro esigenze e difficoltà. Bisogna parlarsi come persone serie, non come codardi”, sottolinea il Cacciatore di Teste ribadendo ancora una volta come la vigliaccheria sia prima di tutto un atteggiamento e ricordando come al confine tra normativa e comportamenti individuali si collochi questa enorme zona grigia che fa davvero la differenza al momento del confronto. 

Non è solo questione di regole, fa notare l’Head Hunter, ricordando come aziende che sono state richiamate dal Ministero del Lavoro per non aver seguito le regole, il mese successivo abbiano comunque messo in atto comportamenti maldestri, seguendo questa volta le regole. Ricordando il film del 2009 Tra le nuvole, con un George Clooney che gira il mondo portando a termine i licenziamenti che i dirigenti non vogliono prendersi la briga di affrontare personalmente, Ghini fa notare come dal suo punto di vista si tratti proprio di stile e non di sostanza. Le persone, sottolinea, meritano di essere sempre trattate come tali. 

Gabriele Ghini, licenziamento, dimissioni, intelligenza sociale, Il cacciatore di teste


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Erica Manniello

Laureata in Filosofia, Erica Manniello è giornalista professionista dal 2016, dopo aver svolto il praticantato giornalistico presso la Scuola superiore di Giornalismo “Massimo Baldini” all’Università Luiss Guido Carli. Ha lavorato come Responsabile Comunicazione e come giornalista freelance collaborando con testate come Internazionale, Redattore Sociale, Rockol, Grazia e Rolling Stone Italia, alternando l’interesse per la musica a quello per il sociale. Le fanno battere il cuore i lunghi viaggi in macchina, i concerti sotto palco, i quartieri dimenticati e la pizza con il gorgonzola.

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