Editoriale

L’importanza di coltivare relazioni (nel lavoro)

“Il mondo non è di chi si alza presto, il mondo è di chi ha voglia di alzarsi”. Mi viene in mente questa frase attribuita a un’attrice meravigliosa, Monica Vitti. Un’icona di bellezza, ironia e stile. Traslato al tema del futuro del lavoro, potremmo dire che il mondo non è di chi lavora tanto, ma di chi ha passione e ha voglia di lavorare. Questo è il cuore della questione legata al senso del lavoro sul quale ci siamo interrogati nel corso de Il Convivio, l’evento organizzato dalla no­stra rivista Persone&Conoscenze.

Il recente rapporto Censis-Eudaimon ci restituisce una fotografia che è lo specchio dei tempi incerti che stiamo vivendo: il 67,7% degli occupati vorrebbe ridurre il tempo dedicato al lavoro, l’82,8% del campione dedica più attenzione al proprio benessere psicofisico e il 62% è scontento dello stipendio. Tradotto: le persone non sono soddisfatte, lavorare meno è un’aspirazione, ma, soprattutto, il lavoro con­tribuisce in misura minore a dare un significato alla propria vita.

Le persone sono cambiate, anche a causa della pandemia che ha lasciato ferite indelebili e ha contribuito a spostare su altri assi valori e priorità. Motivazione e benessere diventano una questione prioritaria e la nuova Società 5.0 che si sta delineando, fondata sui valori dell’umanocentrismo, dovrebbe contribuire a progettare un nuovo sistema operativo e valoriale. A differenza di quanto accadeva in passato, il lavoro non è più soltanto un mezzo per assicurarsi una sopravvivenza dignitosa: al lavoro si chiede qualcosa di più del semplice sostentamento. Oggi il lavoro deve contribuire alla realizzazione delle proprie ambizioni personali.

Rendere le organizzazioni luoghi di senso

Seguendo questa logica cambiano anche i criteri di attrattività: un brand non è attrattivo di per sé se non incarna valori nei quali ci si riconosce. Conta ben di più la capacità dell’azienda di esprimere autentica­mente criteri di sostenibilità e di incidere sulla dimensione non solo ambientale, ma anche sociale e di governance. Tutto ciò richiede cambi di prospettiva alla Direzione del Personale che deve sintonizzarsi con l’evoluzione della società. Si devono riconquistare le persone: la domanda è come, e la risposta riguarda le strutture organizzative. Le persone non cercano aziende, ma luoghi dove riconoscersi e con­frontarsi e dove sia desiderabile convivere. Creare contesti dove si sviluppino relazioni positive è il vero obiettivo, perché lo sviluppo di sé è figlio delle relazioni e il merito si realizza più facilmente all’interno di relazioni positive. Ed è questo che genera benessere e favorisce il desiderio di spendere le proprie com­petenze oltre le rigide schematizzazioni dei curriculum.

Le aziende, ci ha spiegato chiaramente Stefano Zamagni, fioriscono se le persone trovano un ambiente dove mettere in campo tutto il loro sé. E per costruire un ambiente che trasmetta fiducia e offra una dimensione di senso bisogna partire dalla storia dell’impresa; una storia che deve prendere le distanze da storytelling che somigliano a operazioni di marketing quando l’obiettivo deve, invece, essere “offrire abitazione a modi di vivere e di lavorare sempre più dispersi e senza tessitura”, come ha scritto Pier Luigi Celli in un articolo pubblicato qualche numero fa dalla nostra rivista.

Quali dunque gli antidoti a contesti che, anche in seguito alla pandemia, si sono sfilacciati? Umanità e cultura. Riscoprire l’umanità e il valore delle relazioni, in un mondo che le faciliti all’interno della dimen­sione digitale, è una vera priorità. La tecnica non è più solo un mezzo, è diventata un mondo dove le persone funzionano. Ma le persone non possono limitarsi a funzionare, come ci ha spiegato Umberto Galimberti: le persone, oltre a farsi domande su ‘cosa’ fanno, devono interrogarsi anche sul ‘come’ ed è proprio quest’ultimo a consentirci di approfondire il significato, il purpose, dal quale tutto discende. Ma la ricerca del purpose deve avvenire all’interno di una relazione. Senza relazioni vive e vere le aziende muoiono anche perché, nella Società 5.0, la creatività è legata a una produttività innovativa: creatività e innovazione nascono all’interno di un processo relazionale dove le persone sentono di appartenere a una storia e di contribuire a un progetto. Per questo è tanto importante il bagaglio culturale, la storia su cui l’azienda è costruita, le radici che la caratterizzano. Le storie esprimono significati ed è lì che le persone si riconoscono, ed è da lì che possono ripartire. Alla fine, la relazione tra le persone e l’azienda è una storia d’amore: è un patto da rinnovare per scegliersi ogni giorno.

lavoro, purpose, relazioni, senso del lavoro


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Chiara Lupi

Articolo a cura di

Chiara Lupi ha collaborato per un decennio con quotidiani e testate focalizzati sull’innovazione tecnologica e il governo digitale. Nel 2006 ha partecipato all’acquisizione della ESTE, casa editrice storica specializzata in edizioni dedicate all’organizzazione aziendale, che pubblica le riviste Sistemi&Impresa, Sviluppo&Organizzazione e Persone&Conoscenze. Dirige la rivista Sistemi&Impresa e governa i contenuti del progetto multicanale FabbricaFuturo sin dalla sua nascita nel 2012. Si occupa anche di lavoro femminile e la sua rubrica "Dirigenti disperate" pubblicata su Persone&Conoscenze ha ispirato diverse pubblicazioni sul tema e un blog, dirigentidisperate.it. Nel 2013 insieme con Gianfranco Rebora e Renato Boniardi ha pubblicato il libro Leadership e organizzazione. Riflessioni tratte dalle esperienze di ‘altri’ manager. Nel 2019 ha curato i contenuti del Manuale di Sistemi&Impresa Il futuro della fabbrica.

Chiara Lupi


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