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L’incapacità di storytelling delle aziende che fa scappare i talenti

Per le aziende funziona un po’ come per le persone: per posizionarsi nel mercato ed essere competitive hanno bisogno di presentarsi in modo efficace, curare la propria reputazione online, ‘vendere’ al meglio la propria immagine. E attrarre così i migliori talenti in grado di gestire il cambiamento e guidarle nel futuro.

Selezionare le persone giuste, però, sta diventando una vera e propria impresa. Stando ai dati della ricerca Closing the skills gap: what workers want, realizzata da ManpowerGroup, in più del 50% delle imprese a livello mondiale mancano le giuste competenze e in 36 su 44 Paesi le difficoltà ad assumere talenti è cresciuta nel 2019.

Ecco perché diventa sempre più necessario mettere in atto una serie di operazioni di ‘editing’ della propria identità di brand. Se per le persone si parla di personal branding, per le imprese, invece, il nuovo mantra è l’employer branding.

Si tratta di attività che coinvolgono diverse funzioni aziendali, dalle Risorse Umane al Marketing, fino al Top management. E che il digitale ha reso ancora più complesse e strategiche. Anche per la necessità di targettizzare in modo molto preciso i candidati da selezionare.

Capire le (nuove) esigenze delle generazioni

Ogni candidato è un mondo. E una generazione. Basti pensare a come cambiano i bisogni con il cambiare delle fasi della vita. Le ultime ricerche in tal senso parla chiaro: ogni età ha le proprie aspettative. E le aziende non possono ignorarle.

I giovani che hanno dai 18 ai 24 anni, per esempio, la cosiddetta Generazione Z, sono ambiziosi e sognano sia guadagno sia carriera. I Millennial, invece, sono più in cerca di flessibilità e di un lavoro stimolante. L’equilibrio tra lavoro e vita privata diventa ancora più importante per la Generazione X, mentre i temi della leadership e del team working emergono soprattutto dai 55 anni in poi, tra i Boomer, che pensano anche a come lasciare il proprio contributo alla comunità.

Nel selezionare una nuova risorsa, quindi, il recruiter deve fare i conti con il contesto generazionale del candidato. Se il talento non ha età, le persone invece sono influenzate dal tempo, in senso biografico e storico, soprattutto nella scelta di un lavoro.

Anche il processo di selezione, quindi, diventa sempre più personalizzato. Grazie al marketing digitale, le aziende hanno oggi la possibilità di raggiungere diversi pubblici con messaggi diversi. Prima di farlo, però, devono curare al meglio la propria immagine.

Le aziende devono diventare più attrattive

Ma quanto le aziende italiane sono davvero consapevoli della necessità di studiare ogni aspetto del processo di recruitment? “Un’azienda su cinque, lo sa bene”, racconta Filippo Saini, Head of Job di InfoJobs, che gestisce una community di quasi 6 milioni di utenti.

Eppure, le nostre aziende continuano a essere meno attrattive per i giovani, che ambiscono a lavorare in grandi multinazionali come Amazon e Google. “È un problema di comunicazione, ma anche di sistema, secondo Patrizia Fontana, Presidente di Talents in motion, il primo progetto di corporate social responsibility in Italia volto a promuovere il rientro dei giovani italiani che sono andati a lavorare all’estero, attraverso una piattaforma online che li mette in contatto le imprese, i cosiddetti ‘cervelli in fuga’.

“Sono 80mila gli studenti che vanno via, in un Paese che ha il 9,7% disoccupazione e il 26% delle aziende che non trova il neolaureato giusto”, racconta Fontana, selezionando gli ingredienti di una ricetta che vorrebbe cambiare le attuali dinamiche di attrattività del nostro Paese e permettere ai talenti di ‘circolare’ anche in Italia.

“È noto il gap che separa il nostro Paese dai partner comunitari in termini di competenze digitali e know-how tecnologici, oggi patrimonio indispensabile tanto per le grandi imprese quanto per le Pmi. Vogliamo implementare l’offerta formativa grazie al coinvolgimento delle Università italiane, accelerare lo scambio di conoscenze e favorire così l’attrattività del nostro Paese per i talenti italiani e stranieri”.

“L’obiettivo è tra un anno di misurare l’efficacia degli sforzi sostenuti da tutti i partner in un Forum cui contiamo di arrivare forti di 250 aziende sostenitrici che si saranno unite al progetto, in buona parte anche Pmi. Una crescita che si traduce anche in incremento del Pil e in un maggior numero di occupati qualificati”, ha ricordato Fontana.

Talents in Motion, progetto su cui si sono catalizzate le energie di Camera di Commercio di Milano Monza Brianza e Lodi, Yes Milano, Regione Lombardia, Unione Confcommercio, Assolombarda, Anitec-Assinform, Confindustria Digitale e Forum della Meritocrazia, è una piattaforma online che connette le aziende italiane ai talenti all’estero, promuovendo le opportunità lavorative che l’Italia offre con una visibilità internazionale. La piattaforma offre anche informazioni fiscali, legali e amministrative.

Ma di cosa parliamo quando parliamo di talenti? “Il talento è di chi possiede o ha le potenzialità per raggiungere un buon connubio tra skill tecniche e soft skill ed è quindi in grado di eccellere” secondo Fontana.

Nell’attuale mercato del lavoro, la competizione è diventata globale anche per le imprese, che hanno bisogno a loro volta di diventare ‘talentuose’ indipendentemente dalle proprie dimensioni. “Quando parliamo di employer branding pensiamo alle grandi imprese. Ma attenzione, in Italia il 95% delle aziende sono PMI o micro imprese, che non hanno grandissima disponibilità di budget”.

La comunicazione gioca quindi un ruolo chiave a tutti i livelli del processo di ricerca dei candidati. “Bisogna innanzitutto scrivere bene l’annuncio, che è il primo touch point in azienda”, afferma Saini.

Un punto di contatto ancora più importante quando il processo di assunzione avviene in un’azienda di 50 dipendenti, dove il peso di un nuovo assunto, nell’equilibrio aziendale, incide molto di più, spiega Saini: “Bisogna presidiare ogni momento del funnel (un termine preso in prestito dal marketing che indica il percorso del consumatore nell’acquisto, ndr). Abbiamo un team di esperti a disposizione delle aziende, perché la parte editoriale del portale deve essere curata”.

Il 70% dei candidati passa dai social network

Quali sono i canali digitali più utilizzati dai lavoratori? “Nella ricerca di un lavoro, sette candidati su 10 fanno ricerca libera sul web, per prima cosa i social network”, ricorda Saini. “Spesso pensiamo a Linkedin, ma questo strumento è usato solo da chi è in cerca di figure professionali di un certo livello. Per la maggior parte dei lavoratori in Italia la fonte principale è Facebook o Instagram per i più giovani”.

È molto difficile, inoltre, che l’azienda riesca a raggiungere molte persone utilizzando solo canali istituzionali. “Soltanto due candidati su 10 guardano il sito corporate o le pagine aziendali sui social”. Oggi trovare informazioni sulle aziende è diventato sempre più facile.

Le motivazioni delle scelte dei candidati, però, diventano sempre meno prevedibili o ricercabili su Google. “Per il 50% dei partecipanti all’indagine al primo posto c’è il clima lavorativo. Gli stipendi in Italia non crescono da tanti anni e forse si inizia a cercare altro”, commenta il manager di Infojobs. Al secondo posto c’è l’andamento economico dell’azienda, al terzo la filosofia aziendale (la missione, i valori dell’azienda e il suo impatto sull’ecosistema).

“Un altro aspetto interessante è l’offerta formativa. Le nostre hard skill invecchiano, quindi se non si trova un posto di lavoro che permette di stare al passo non solo si avranno problemi a fare carriera, ma anche a restare nel mercato del lavoro. I nostri utenti cominciano a prenderne coscienza”.

Nelle richieste di chi è in cerca di un lavoro cominciano ad affacciarsi anche tematiche come lo Smart working e i pacchetti di welfare, mentre restano ancora di nicchia temi di grande attualità come la responsabilità sociale o il volontariato. Le strategie di employer branding, in tal senso, devono anche trovare un equilibrio tra le scelte di advocacy dell’azienda e i bisogni reali delle persone selezionate. Persone che sicuramente sono più facili da raggiungere, grazie alla potenza divulgativa degli strumenti digitali, ma non da ‘convertire’ (per usare nuovamente una parola presa in prestito dal marketing).

Il nuovo valore della soddisfazione degli stakeholder

Il digitale moltiplica i touch point, ma non ha sostituito il lato umano e relazionale della scelta del lavoro: quando si tratta di scegliere l’azienda in cui andremo a lavorare è il passaparola ad avere ancora la meglio, come conferma Saini, riportando un altro dato dell’indagine condotta da Infojobs: “Sei intervistati su 10 si fidando del giudizio dei dipendenti dell’azienda. Sono loro i veri ambassador, la fonte più autorevole. Mentre solo il 14% identifica nelle Risorse Umane o nel management le figure di riferimento”.

Le aziende devono quindi cambiare punto di vista e considerare l’employer branding come un’altra occasione per rafforzare la propria reputazione: “Farsi carico del 99% degli utenti non assunti è più importante che farsi carico dell’esperienza di chi entra nell’organizzazione. Con alcune aziende collaboriamo per capire insieme quale possa essere il feedback di ritorno. Il candidato che scarti oggi può essere il cugino o l’amico di quello che selezioni. La tua reputazione, quindi, la costruisci anche con i candidati che non assumerai mai”.

Un aspetto, quello della reputazione, da non sottovalutare. La reputation, infatti, vale oggi più del 60% del valore di mercato dell’azienda. A dirlo sono i manager protagonisti della ricerca The state of corporate reputation in 2020: everything matters now. Un’indagine condotta online dall’agenzia Weber Shandwick in partnership con KRC Research che ha coinvolto 2.227 dirigenti di società di grandi dimensioni per fatturato, operanti in 22 differenti mercati.

Come viene misurata questa reputazione? Oltre alle vendite, alle prestazioni finanziarie e ai sondaggi tra i vari stakeholder oggi contano anche altri fattori. Entra in gioco infatti anche la soddisfazione dei dipendenti. Ecco perché scegliere la persona giusta da assumere è diventata un’azione strategica.

processi di recruitment, talent attraction, Employer branding, ricerca del lavoro

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