L’incertezza organizzativa che rallenta i vaccini
Mi intrometto in un confronto senza esserne stato invitato. È di pubblico dominio il botta-risposta sul Corriere della Sera tra Antonio Scurati e il Commissario Straordinario per il Covid-19 Domenico Arcuri. Tema del ‘contendere’: il piano italiano per le vaccinazioni che nel nostro Paese sembra procedere a rilento, mentre ci sono Stati che stanno correndo (di Israele ne ho appena scritto qui).
Ho letto con attenzione la lettera inviata da Arcuri, che risponde perché “è un’imperdibile occasione per fare chiarezza sul piano vaccinale“. La risposta del Commissario Straordinario alla gestione della pandemia si concentra in gran parte sul fatto che per raggiungere l’immunità con il vaccino servono… i vaccini. E al momento, la tesi è che mancano le dosi. Pfizer è la sola azienda autorizzata a distribuirlo nell’Unione europea, ma, scrive Arcuri, “aspettiamo Moderna” e le sue 20 milioni di dosi. “Saremmo i primi a volerne di più”, è l’auspicio del Commissario Straordinario. La domanda, però, resta: per farne cosa? A ieri, appena il 26% delle dosi consegnate è stato utilizzato (123mila vaccinazioni su 470mila vaccini a disposizione).
E qui inizia il capitolo del piano logistico e organizzativo che il Governo ha predisposto, consegnando vaccini, siringhe, aghi e diluenti, ai 293 punti di somministrazione preposti alla vaccinazione. Da questo punto in poi? “Spetta alle Regioni”, scrive Arcuri. Anche se non dice che la campagna governativa per reclutare il personale per le vaccinazioni è iniziata solo il 28 dicembre 2020. Poi il Commissario Straordinario spiega nei dettagli l’agenda di somministrazione dei vaccini e chi ne ha diritto; fino a chiudere la lettera tornando sui dati asimmetrici delle regioni. “Sono passati solo quattro giorni dall’inizio della campagna, è davvero presto e sarebbe strumentale fare già consuntivi”, ammette Arcuri, secondo cui “presto” si azzererà l’asimmetria.
Campagna a singhiozzo in tutto il mondo
Varie volte ci siamo interrogati sulla mancanza di coraggio decisionale: ormai è chiaro il problema. Nel caso dei vaccini, poi, siamo davanti pure a un intreccio di burocrazia a complicare le cose. Ma se l’Italia arranca, non si pensi che in giro per il mondo – pochi Paesi a parte – le cose vadano meglio.
Prendiamo il caso degli Usa: Washington guida la ben poco lusinghiera classifica del Paese più colpito dal Covid-19 e nonostante il drammatico dato dei contagi – cui si aggiunge il numero di decessi che aumenta di giorno in giorno – è emerso che anche Oltreoceano la campagna vaccinale procede a singhiozzo; Bloomberg riferisce di oltre 2,3 milioni di dosi somministrate (vuol dire lo 0,70% della popolazione, sempre meglio del nostro 0,20%).
Ma anche in Usa va in scena lo scontro tra amministratori: per esempio a New York, il sindaco della Grande Mela Bill de Blasio e il Governatore dello Stato, Andrew Cuomo, si rimbalzano le responsabilità sull’organizzazione e la logistica, senza lesinare critiche ai funzionari federali. E anche lì ci sono ospedali che hanno somministrato meno di un terzo delle dosi già a disposizione. La stampa statunitense riferisce di proposte di aperture 24 ore su 24 di nuovi centri per la vaccinazione, per arrivare a 400mila vaccinazioni alla settimana.
Sembra quindi che l’Italia non sia l’eccezione, purtroppo. Il problema organizzativo – già chiaro nel 2020 per il contenimento della pandemia – è diventato ora ancor più evidente con la vicenda dei vaccini, che chiamano in causa decisori diversi e filiere sempre più lunghe e complicate. Forse sarebbe il caso, più che di dichiarazioni di circostanza, ammettere che è tutto dannatamente complicato e non c’è un modello da applicare. Sarebbe gettare nel panico un intero Paese? Ormai ci siamo abituati a convivere con uno stato di perenne incertezza. Almeno partiremmo da una certezza.
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