L’inclusione in azienda passa per l’alleanza
È recente la protesta, fuori dal quartier generale di Netflix a Los Angeles, a causa delle dichiarazioni di Dave Chappelle presenti nel documentario The closer ospitato dalla piattaforma sul tema dell’identità di genere. Quanto dichiarato dal comico statunitense ha avuto eco anche tra i dipendenti del colosso dello streaming e in particolare tra la comunità trans che ha accusato il prodotto – e indirettamente Netflix – di transfobia.
Il tema del benessere delle persone transgender è presente in moltissime aziende e nelle agende politiche di diversi Paesi, inclusa l’Italia che con il Ddl Zan ha cercato di affrontare – con scarso successo vista la bocciatura dell’iter parlamentare – l’omotransfobia. Per esempio, Beck Bailey, Capo Dipartimento Inclusione e Diversità di Accenture, ha affrontato la questione in un webinar dal titolo Growth workshop: creating a trans-inclusive world, nel corso del quale ha riportato quanto maturato durante i circa sette anni trascorsi a contatto con l’organizzazione LGBTQI+ human rights campaign.
Per Bailey è fondamentale responsabilizzare i manager nel perseguimento dell’inclusione e della diversità, considerando l’enorme impatto che questo ha – e può avere – sulla cultura aziendale e non solo. “Dovrebbe essere parte dei parametri attraverso i quali i datori di lavoro valutano le prestazioni dei manager”, ha spiegato Bailey.
Dal cambiamento culturale ai piccoli grandi gesti
La costruzione di un posto di lavoro inclusivo ed equo dipende fortemente da ogni manager; va però tenuto conto che per molte posizioni apicali relazionarsi con una persona transgender potrebbe essere una novità, magari addirittura una prima volta. “Un manager o i membri di un team potrebbero non aver mai incontrato una persona transgender prima. Quindi questo per loro è del tutto nuovo”, ha fatto notare Bailey. Per questa ragione ha suggerito di mettersi in contatto con organizzazioni che lavorino sull’uguaglianza sul posto di lavoro.
Tra queste, le organizzazioni LGBTQI+ locali sono spesso disponibili a offrire ‘toolkit trans-inclusivi’ e linee guida efficaci sul posto di lavoro. Un’altra grande opportunità da questo punto di vista è sviluppare programmi su come colleghi e leader possano supportare al meglio le persone trans nelle organizzazioni. In generale, qualsiasi strada si intraprenda, il modo migliore per creare uno spazio di lavoro inclusivo è porsi da un punto di vista aperto all’apprendimento e al dialogo: “C’è sempre molto da imparare, specialmente su come le persone non cisgender e che subiscono o hanno subito episodi di emarginazione si trovino ad affrontare ostacoli diversi”.
Un profondo cambiamento culturale, da un lato, ma anche piccoli gesti che portano con sé un grande valore dall’altro. È questa la strada da seguire secondo Bailey perché tutti e tutte abbiano la possibilità di sentirsi a proprio agio nel mondo e al lavoro. Un esempio potrebbe essere avere l’accortezza di utilizzare per le persone transgender i pronomi nei quali esse si identificano, anche nella loro firma email, così come accogliere simboli a supporto della comunità. Fuori dall’azienda c’è un estremo bisogno, nella battaglia per i diritti, di una sponda: “Il fatto che chi è emarginato faccia tutto quel lavoro per se stesso è spesso percepito come egoistico. Ecco dove aiuta avere alleati, avere persone di genere cisgender che chiedono benefici per le persone trans”
Fonte: Human Resource Executive
Laureata in Filosofia, Erica Manniello è giornalista professionista dal 2016, dopo aver svolto il praticantato giornalistico presso la Scuola superiore di Giornalismo “Massimo Baldini” all’Università Luiss Guido Carli. Ha lavorato come Responsabile Comunicazione e come giornalista freelance collaborando con testate come Internazionale, Redattore Sociale, Rockol, Grazia e Rolling Stone Italia, alternando l’interesse per la musica a quello per il sociale. Le fanno battere il cuore i lunghi viaggi in macchina, i concerti sotto palco, i quartieri dimenticati e la pizza con il gorgonzola.
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