L’industria italiana (ri)scopre la trazione meridionale
La battaglia frontale contro il Covid-19 è in corso in Italia e a livello mondiale: se da un lato se ne piangono le migliaia di vittime, dall’altro già si incominciano a stimare i danni per l’economia internazionale. Com’è del resto intuibile, gli impatti saranno profondamente differenti per i diversi Paesi e aree geografiche, a seconda della maggiore o minore solidità delle loro specifiche strutture produttive e delle misure di politica economica che verranno assunte nei singoli Stati e nell’Unione europea per mitigarne gli effetti nell’immediato o per superarne gli effetti sul medio e lungo periodo.
In questo scenario come si colloca l’Italia meridionale? È indubbio che il colpo già subito dal suo tessuto produttivo sia stato molto duro per diversi comparti e in numerose zone che ne costituiscono già da anni consolidati punti di forza: chiuse le tre grandi fabbriche di assemblaggio di autoveicoli (FCA a Pomigliano d’Arco e a S. Nicola di Melfi e Sevel ad Atessa in Val di Sangro) e i siti delle lunghe filiere dei loro indotti, in stand by il robusto polo della componentistica dell’Automotive di Bari, fortemente rallentata la produzione di acciaio all’Ilva di Taranto, o ferma quella di moltissime imprese di meccanica varia in diverse aree, è altrettanto bloccata quella di tante piccole e medie industrie del tessile-abbigliamento-calzaturiero, del legno- mobilio e dei materiali da costruzione.
Tuttavia, in molte delle stesse aree ove si registrano fermi pressoché totali delle attività prima richiamate, vi sono altre industrie e siti di piccole, medie e grandi dimensioni di multinazionali italiane ed estere che sono in produzione – cui a loro volta si collegano cluster di PMI di supporto per forniture di materie prime, beni intermedi, montaggi e manutenzioni – sia perché appartenenti a comparti fornitori di beni indispensabili a una popolazione in quarantena e sia perché considerati strategici nelle deliberazioni assunte dal Governo.
Ora, sulla base di informazioni raccolte direttamente dagli scriventi, proviamo a delinearne un quadro sia pure sommario, facendo ammenda per molte probabili omissioni.
Aziende strategiche in piena attività
Le industrie agroalimentari, com’è noto, sono in piena attività, almeno in tutte le numerose filiere esistenti nell’Italia meridionale che – è bene ricordarlo – in certi specifici segmenti hanno particolare consistenza, offrendo al Paese oltre il 50% dei singoli beni che vi sono prodotti o che concorrono alla loro fornitura con quote percentualmente elevate a livello nazionale: impianti molitori, pastari, oleari, vitivinicoli, lattiero-caseari e di bevande (acque minerali, bibite, ecc.), di prodotti da forno, di lavorazioni di carni e di conservazione e trattamento di ortofrutta stagionale (e non) e di prodotti ittici.
Al riguardo, non si dimentichi che nel Sud sono localizzati grandi stabilimenti di multinazionali italiane ed estere come Ferrero, Barilla, Parmalat, Granarolo, Princes-Mitsubishi, Heineken, Birra Peroni-Asahi, Coca Cola, e di molti altri player meridionali di rilevanti dimensioni per fatturato o con ricavi più contenuti, ma con marchi affermati a livello locale e in molti casi ormai noti anche su mercati internazionali (Casillo, La Doria, De Cecco, Divella, Giv, Kimbo, Ferrarelle, Lete, Mataluni-Olio Dante, Casa olearia italiana, Siciliani carni, Nino Castiglione, Desantis, Callipo, Pasta Garofalo, La Molisana, Rummo, Granoro, Iposea, Loiudice, Alfrus, Sfir, Mastroberardino, Leone De Castris, Conti Zecca, Spagnoletti Zeuli, Donnafugata, Zappalà, Cooperativa di Arborea, Fratelli Pinna, Lepore Mare).
Esistono poi sempre nello stesso comparto sia consorzi rinomati come quello della Pasta di Gragnano e della Mozzarella di bufala campana e sia un tessuto di altre PMI di varia densità territoriale, molte delle quali cooperative, che producono in prevalenza per mercati locali, ma in non pochi casi affacciate anche su qualche mercato estero. Naturalmente le aziende di tutti i comparti del packaging collegati all’agroalimentare – imballaggi cartotecnici, contenitori in vetro e in plastica, etichettifici ecc. – sono anch’essi in produzione.
L’industria farmaceutica, che sta producendo a pieno regime con le filiere connesse, fra l’altro vanta nell’Italia meridionale dall’Abruzzo alla Sardegna la presenza di siti di multinazionali come Novartis, Merck, Sanofi, Pfizer, e di player italiani come Angelini, Dompé, Sifi, Kedrion, Altergon, Fis, Gnosis, Farmitalia, e molti altri minori di imprenditori locali.
Anche il settore aeronautico, considerato strategico dal Governo – con i grandi impianti di Leonardo Divisione Aerostrutture di Pomigliano d’Arco, Nola, Capodichino, Foggia e Grottaglie e di Leonardo Divisione Elicotteri di Brindisi – continua le sue attività, così come la proseguono gli stabilimenti di Avio Aero del Napoletano e di Brindisi, di Salver e di altre società, con le PMI delle loro subforniture.
Attività a regime ridotto, ma garantita
L’imponente acciaieria Ilva di Taranto – che per capacità installata e per i suoi 8.277 addetti diretti è non solo la maggiore d’Europa, ma anche la più grande fabbrica manifatturiera d’Italia – sia pure a regime fortemente ridotto per le note vicende, sta continuando a produrre e ha ottenuto dall’autorità prefettizia, dopo alcuni giorni di interruzione, l’autorizzazione a commercializzare il suo output.
L’industria chimica e petrolchimica è attiva, con i numerosi cluster locali di aziende di manutenzioni impiantistiche: Versalis a Brindisi e Priolo, LyondellBasell a Brindisi, le grandi e medie raffinerie di Saras, Lukoil, Sonatrach, Ram ed Eni, sia pure tutte a regime ridotto, e le produzioni di gas tecnici di Chemgas, Sapio, Sol.
Proseguono anche le estrazioni di petrolio e di gas in Basilicata nei due vasti bacini della Val d’Agri (Eni e Shell) e della Valle del Sauro (Total, Shell e Mitsui) e in Sicilia nel Ragusano: attività di up stream che si avvalgono localmente di consistenti gruppi di imprese dell’indotto.
La generazione di energia da fonti fossili e rinnovabili – nelle centrali di Enel, Enipower, Sorgenia, Edison, Erg, En Plus e nei tanti parchi eolici e fotovoltaici di cui il Mezzogiorno vanta primati nazionali per capacità installate e MW prodotti – sta proseguendo, sia pure con modulazioni di intensità legate al calo complessivo della domanda industriale.
Insomma, sezioni significative dell’industria localizzata nelle regioni meridionali, che costituiscono ormai da anni componenti di rilievo strategico dell’intero apparato di produzione manifatturiera nazionale, stanno assicurando al Paese i beni e le utility di cui esso ha bisogno. Non appena ripartiranno gli altri comparti oggi in stand by e una più forte domanda sul mercato interno e su quelli esteri, continueranno a rappresentare una delle aree trainanti dell’industria italiana.
* L’articolo è stato scritto con Angelo Guarini, Direttore Confindustria Brindisi
Articolo a cura di
Federico Pirro
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