Engagement aziendale

L’ingaggio passa dal benessere del personale

Secondo la narrazione predominante non ci sono posti di lavoro disponibili, la disoccupazione non sembra dare evidenti segni di tregua e gli italiani hanno sempre più bisogno di ammortizzatori sociali come il Reddito di cittadinanza. Osservando la realtà, invece, scopriamo che il lavoro c’è, ma mancano le competenze (secondo gli ultimi dati di Unioncamere ci sono ben 400mila posti vacanti), che la disoccupazione è in costante, seppure lento, calo (attualmente è al 7,8%, stando alle ultime rilevazioni dell’Istituto italiano di statistica) e che, nel 2024, il nuovo Governo dovrebbe abolire il Rdc, se andrà come se l’è immaginato l’Esecutivo.

A fronte di queste evidenze, il mercato del lavoro sembrerebbe in ottima salute, tanto da far venire meno il senso di una misura come il reddito di cittadinanza. Nonostante ciò, parliamo ancora di Great resignation: com’è possibile? Le situazioni di crisi che hanno flagellato la nostra società negli ultimi anni – pandemia in primis – hanno portato le persone a rivalutare le proprie priorità, riportando al centro dei propri interessi il benessere personale: da qui il fenomeno delle grandi dimissioni, iniziato negli Usa e poi dilagato in tutto l’Occidente. È oggi chiaro che le condizioni lavorative influiscono fortemente sulla qualità di vita di ognuno di noi e, per questo motivo, il configurarsi di una situazione insoddisfacente o deleteria all’interno della propria azienda ha già spinto molte persone a lasciare il proprio impiego: l’Istituto nazionale della previdenza sociale (Inps) ha segnalato più di 1 milione di dimissioni nel primo semestre del 2022, con un aumento del 31,73% rispetto al 2021.

Questo quadro spiegherebbe dunque le motivazioni dell’uscita volontaria delle persone, che si traducono in una vera calamità per le imprese, già impegnate su vari fronti, in particolare quello economico-finanziario (giusto per fare qualche esempio, il caro energia comporterà, per la sola manifattura, un aumento dei costi per 43 miliardi di euro, secondo quanto riferito da Confindustria). L’antidoto più efficace al malcontento potrebbe essere l’engagement, fil rouge del Welfare Forum 2022 di Edenred, l’evento della multinazionale francese dedicato all’analisi dei trend del welfare aziendale. Paola Blundo, Direttore Corporate Welfare di Edenred Italia, ha proposto una serie di considerazioni partendo dall’analisi dell’ultima edizione dell’Osservatorio welfare di Edenred, concentrandosi proprio sulla questione dell’ingaggio: “La promozione di politiche capaci di dare realtà a un effettivo work-life balance contribuiscono a trattenere le persone in azienda e allo stesso tempo svolgono un ruolo attrattivo nei confronti dei giovani talenti, sempre più attenti alla qualità della loro vita”.

I giovani vogliono lavorare, ma alle loro condizioni

In particolare, Blundo ha affrontato il tema dei giovani in azienda, toccando un nervo scoperto della società: recenti studi, infatti, rivelano come il 70% dei dimissionari si configura nella fascia d’età 26-35 anni. Le ragioni? La ripresa del marcato del lavoro, la ricerca di condizioni economiche più favorevoli in un’altra impresa e l’aspirazione di un maggior equilibrio tra vita privata e lavorativa. Perciò, è proprio vero che i giovani non hanno voglia di lavorare? In realtà, chi dà le dimissioni e appartiene alle fasce d’età più basse non lascia il lavoro per stare a casa ma, piuttosto, per cercare un posto che soddisfi di più le sue necessità. Questa tendenza era già stata messa in luce da uno studio condotto dall’Associazione per gli studi internazionali e comparati sul diritto del lavoro e sulle relazioni industriali (Adapt), firmato dall’ex Ministro per la Pubblica Amministrazione Renato Brunetta e da Michele Tiraboschi, Coordinatore Scientifico dell’Adapt: nella loro analisi, i due esperti hanno sottolineato la natura transazionale del fenomeno che, nella maggior parte dei casi, non si esaurisce con il semplice abbandono del posto di lavoro.

Anche Edenred ha letto questa dinamica nello stesso modo e, infatti, l’evento della multinazionale francese si è concentrato sulla ricerca delle modalità volte a rendere i posti di lavoro più accoglienti, alcune di queste già applicate dall’azienda stessa. Un’iniziativa per aumentare l’engagement è quella ribattezzata “Edenred siamo noi”, una campagna di comunicazione sul tema della convivenza vita-lavoro che ha come protagonisti i dipendenti. Ma gli ambiti sui quali si può agire per favorire l’ingaggio e il wellbeing aziendale sono svariati: per esempio Tim, in quest’ottica, ha sviluppato un articolato piano di engagement tra inclusione, servizi per la famiglia e benessere. Ciò dimostra come i rapporti persona-azienda non siano necessariamente legati alla qualità dell’esperienza lavorativa in ufficio, ma anche all’attenzione che l’organizzazione ripone nei confronti della vita delle sue persone

La soluzione alle dimissioni di massa è, quindi, semplicemente quella di rispondere alle esigenze dei lavoratori? Purtroppo no. Una ricerca della Ragioneria generale dello Stato ha sottolineato come, nei prossimi cinque anni, mancheranno 470mila laureati e diplomati al fabbisogno occupazionale, in particolare, nel settore meccanico, informatico, ingegneristico e medico. L’equazione sembrerebbe quindi irrisolvibile: i nuovi lavoratori desiderano condizioni migliori ma, nel frattempo, non riescono a soddisfare gli standard occupazionali delle aziende. I dati Istat mostrano come il numero dei laureati, dal 2016 al 2022, sia cresciuto contestualmente al numero degli iscritti a un corso di laurea; la percentuale degli studenti che conseguono il titolo, però, è da decenni stabile intorno al 20% contro la media europea del 32,8%.

L’evoluzione tecnologica e digitale comporta un bisogno sempre maggiore di lavoratori specializzati ma, nel frattempo, l’istruzione italiana non riesce a fare un balzo in avanti in termini di offerta e di output quantitativo: i giovani laureati sono ancora troppo pochi. Questo squilibrio si trasferisce poi nella relazione lavoratore-azienda, rendendo complicato il soddisfacimento delle mutue esigenze, professionali e di competenza per le aziende, legate al wellbeing per il personale. Molte imprese, sicuramente, stanno già dando il loro contributo in questo processo di riavvicinamento, fornendo alle persone condizioni lavorative migliori nel tentativo di implementare il tasso di engagement.

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Alessandro Gastaldi

Alessandro Gastaldi

Laureato in Comunicazione e Società presso l'Università degli Studi di Milano, Alessandro Gastaldi ha iniziato il suo percorso all'interno della stampa quasi per caso, già durante gli anni in facoltà. Dopo una prima esperienza nel mondo della cronaca locale, è entrato in ESTE dove si occupa di impresa, tecnologia e Risorse Umane, applicando una lettura sociologica ai temi e tentando, invano, di evitare quella politica. Dedica il suo tempo libero allo sport, alla musica e alla montagna.

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