L’integrità come abito mentale dell’impresa
Mi sono chiesto molte volte la ragione di tanti, troppi comportamenti che nelle aziende dove ho lavorato hanno creato dissonanze funzionali, incomprensioni, frustrazioni represse, finendo per compromettere la forza delle relazioni che, come sappiamo, è l’energia vitale che fa girare l’impresa. Paradossalmente sono proprio i comportamenti negativi a svelare quanto il fattore umano sia decisivo ai fini del conseguimento dei risultati di business.
Anni fa, una mia collega mi scrisse una mail, che rivelava tutta la drammatica profondità della ferita causatale dall’incapacità e dall’ipocrisia gestionale: “Ho paura della superficialità, dei venti che cambiano senza una ragione. Ho paura della carenza di analisi nel prendere le decisioni, dei sorrisi o della mancanza che vengono mal interpretati, dei bugiardi, i detrattori, i falsi, di coloro che si appropriano del lavoro degli altri o coloro che approfittano del momento favorevole per sfruttarlo a proprio vantaggio. Io non ho armi per combattere tutto questo”.
Sì, non ci sono armi. Perché quando l’ipocrisia e la falsità diventano sistema, nulla può il singolo. Agli antipodi c’è l’autenticità, che in azienda investe due piani: quello personale dei rapporti umani tra colleghi, e non solo tra capi e collaboratori, e quello organizzativo dello stile gestionale impresso dal Top management. Non si ha autenticità, si è autentici, è modo di essere e non di avere: perché non si tratta di una competenza, ma di una virtù contrapposta alla falsità, che è la maschera che nasconde il volto per ostentare il ruolo, la facciata intonacata dietro cui si nascondono i giochi di potere, il tappeto sotto il quale si getta la polvere del compromesso e del tornaconto personale.
Tanto per le persone che per le organizzazioni essa è identità: possibilità di svelare se stessi nella propria integrità, un essenziale valore guida per le aziende che devono competere con l’incertezza e con la complessità, connesso direttamente alla capacità di generare valore, di superare l’orizzonte del solo profitto, per rendere fecondo e produttivo nel tempo ciò che nasce dalla soddisfazione di ogni stakeholder.
Produrre risultato attraverso la massima efficienza operativa, attenzione a tutte le variabili economiche e di costo, ottimizzazione continua dei processi e delle risorse, capitalizzazione del know how: attenersi ai soli imperativi dell’efficace gestione aziendale oggi non basta più. Senza il valore dell’integrità nella gestione del business, incorporato in ogni comportamento manageriale e in tutte le cose che si fanno, l’azione gestionale resta sterile, infeconda perché non produce risultati ripetibili nel tempo.
La sua forza è trasversale, attraversa ogni funzione aziendale e si traduce in concrete azioni gestionali: nel controllo economico è, per esempio, gestire il cash flow senza ritardare o rinegoziare i pagamenti verso i fornitori lucrando interessi nei ritardi; negli Acquisti è assicurare trasparenza e visibilità dei criteri nelle assegnazioni delle forniture; nelle Vendite è interpretare i reali bisogni del cliente, anche a costo di non attenersi agli obiettivi imposti dai budget; nella qualità è perseguire l’effettivo miglioramento di ogni processo, più che preoccuparsi di mettere a posto la documentazione formale per ottenere una certificazione; nelle Risorse Umane è presidiare nelle politiche premianti e nelle promozioni il rispetto di criteri di competenza e di merito, e non quelli di appartenenza.
Prima ancora di essere uno stile gestionale, l’integrità è dunque un abito mentale che richiama ciò che per gli antichi greci costituiva l’aretè: la capacità di essere abitualmente eccellenti, validata solo nella coerenza tra la parola e l’agito. Come per gli antichi eroi omerici, non si può imporre ai nostri manager né comprare. Si è integri, e dunque autentici, in un agire privo dei classici e ancora troppo diffusi ‘vizi’ manageriali: concentrazione su sé stessi, individualismo, carrierismo, calcolo, slealtà, mancanza di trasparenza. Laddove alle organizzazioni competitive servono onestà (parola che condivide la radice con onore e onere), lealtà (che ha la stessa radice di legalità), sincerità (come un vino non adulterato).
Non è facile. È più facile gestire un piano di ristrutturazione aziendale. È necessario un cambiamento di ottica che coinvolge ognuno che abbia una responsabilità gestionale: la convinzione che in azienda si gestisce un servizio, mai un potere.
Laurea in filosofia, Francesco Donato Perillo ha maturato una trentennale esperienza in Italia ed all’estero nella Direzione del Personale di aziende del Gruppo Finmeccanica (Alenia, Selex, Alenia Marconi Systems, Telespazio). Dal 2008 al 2011 è stato Direttore Generale della Fondazione Space Academy per l’alta formazione nel settore spaziale.
Docente a contratto di Gestione delle Risorse Umane all’ Università Suor Orsola Benincasa di Napoli e formatore manageriale della Luiss Business School, è autore dei libri: La leadership d’ombra (Guerini e Associati, Milano 2005); L’insostenibile leggerezza del management-best practices nell’impresa che cambia (Guerini e Associati, Milano 2010); Romanzo aziendale (Vertigo, Roma 2013); Impresa Imperfetta (Editoriale scientifica, Napoli 2014), Simposio manageriale – prefazione di Aldo Masullo e postfazione di Pier Luigi Celli, (Editoriale scientifica, Napoli 2016).
Cura la rubrica “Impresa Imperfetta” sulla rivista Persone&Conoscenze della casa editrice Este. Editorialista del Corriere del Mezzogiorno (gruppo Corriere della Sera).
organizzazioni, autenticità, integrità, valori