Lo Smart working analizzato da chi si occupa di organizzazione

È (forse) il primo libro che affronta il tema dello Smart working dal punto di vista di chi si è occupato davvero di organizzazione aziendale. È titolato La vita non è uno Smart working (ESTE, 2021) e a firmarlo è Pier Luigi Celli, un’autorità per chi si occupa di management, visti i ruoli ricoperti nella sua lunga carriera dopo la laurea in Sociologia all’Università di Trento: tra gli incarichi come Responsabile della Gestione, Organizzazione e Formazione delle Risorse Umane basti ricordare quelli in grandi aziende, quali Eni, Rai (di cui è stato anche Direttore Generale), Omnitel, Olivetti ed Enel. Oggi, dopo essere stato Senior Advisor dell’Amministratore Delegato in Poste Italiane è Presidente di Sensemakers, società che offre servizi di consulenza e prodotti in ambito digital basati su Big data e Analytics, oltre che prolifico scrittore.

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Il suo libro vuole inquadrare i problemi aperti dall’emergenza sanitaria in ambito aziendale, cercando innanzitutto di dare una cornice che ne rintracci le ascendenze, per poi soffermarsi ad analizzare conseguenze e possibili soluzioni. L’ampio ricorso allo Smart working – ma sarebbe meglio dire lavoro a distanza generalizzato – ha cancellato i confini aziendali e in qualche caso messo a rischio addirittura l’identità dell’organizzazione. Proprio a causa della pandemia, infatti, sono saltati molti dei riferimenti abituali per dipendenti e aziende, e le imprese sembrano ancora in affanno nel fornire strumenti interpretativi fuori dai soliti schemi.

Improvvisamente è stato chiaro che ciò che ha trionfato per decenni come filosofia e come metodo manageriale non fosse l’unica soluzione possibile. E che l’accumulo quantitativo di esperienze che caratterizza l‘idea dell’impresa tradizionale non potesse essere più lo strumento su cui fare leva per interpretare l’era dell’imprevedibilità. Partendo dall’analisi delle cornici organizzative, e attraverso disamina dedicata agli strumenti di revisione organizzativa, il testo di Celli riporta l’attenzione sullo Smart working come nuovo modello di organizzazione del lavoro e non solo come strumento di conciliazione vita-lavoro.

Per cambiare, spiega nella sua riflessione l’autore, serve una rivoluzione di testa più che di modelli: “È il solo modo per dare un senso a ciò che stiamo vivendo”, scrive Celli. E per quanto interessante e provocatorio, non sarà lo Smart working, di per sé, che cambierà il grigiore delle prevenzioni e delle paure in sospeso, né che renderà automaticamente belle e innovative da solo le nostre organizzazioni. Tuttavia, il nuovo modo di lavorare può insegnare che cambiare è possibile, e probabilmente anche molto interessante, perché la normalità ereditata è inservibile, in prospettiva, con le sue liturgie, gli strumenti e le forme di riconoscimento formali codificate negli anni. Ma il cambiamento, com’è noto, non è automatico né facile.

Anche perché serve, dice Celli, che i primi a cambiare siano i capi, i quali o si attrezzano in fretta per rimettersi all’altezza della complessità dei compiti che li aspettano, o saranno loro che diventeranno presto il problema da affrontare. Il libro non offre pratiche preconfezionate da applicare. Piuttosto propone un ritorno alla sana (ma complessa) teoria. Il punto migliore da cui ripartire.

Smart working, Pier Luigi Celli, organizzazione aziendale, La vita non è uno Smart working

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