L’ottimismo del Made in Italy per affrontare l’incertezza
È il momento giusto per cambiare la macchina? La maggior parte dei nostri concittadini, oggi, risponderebbe di no, se è vero che le immatricolazioni in Italia a novembre 2024 sono diminuite del 10,8% rispetto allo stesso periodo del 2023, differenziandosi notevolmente dal dato europeo, che invece è sostanzialmente stabile, aumentato dello 0,1%. Eppure, la nostra economia registra dati di Pil complessivamente in linea con la media europea: il calo non può essere quindi giustificato da divergenze nella domanda aggregata.
Come spiegarlo allora? Una ragionevole ipotesi è che il potenziale acquirente italiano è spaventato, o quantomeno scoraggiato, più dei suoi omologhi europei, dall’incertezza che pesa sul settore. La norma europea prevede infatti che dal 2035 possano essere prodotte, e vendute, solo auto elettriche; di conseguenza, una quota significativa delle nuove immatricolazioni europee si è spostata su questo segmento di mercato: 23,4% a novembre 2024, ma in Italia, nonostante l’ecobonus, siamo al di sotto del 4%.
Su questa differenza incidono, molto probabilmente, le ripetute prese di posizione del nostro Governo, che mettono in discussione la scadenza europea del 2035. Senza prendere posizione sulla fondatezza o meno di tali orientamenti, ciò che emerge evidente è l’ennesima conferma del fatto che i mercati temono l’incertezza, soprattutto per quanto concerne la spesa per investimenti, destinata, per definizione, a traguardare orizzonti di medio-lungo termine.
In Italia la situazione è preoccupante
Purtroppo, quello delle autovetture è solo un esempio, perché le fonti di incertezza sono molteplici, in buona parte condivise a livello europeo: il perdurare della guerra tra Russia e Ucraina, con i suoi effetti sui costi dell’energia e sugli scambi commerciali con la Russia, le crisi politiche in Franca e Germania, il conflitto Israele-Palestina, allargato a Libano e Siria, e, all’orizzonte, gli impatti, al momento affatto imprevedibili, che la presidenza Trump avrà sulle politiche economiche statunitensi, dalle guerre commerciali all’abbandono degli accordi di Parigi.
Non ci meraviglia quindi il dato Istat sulla spesa per investimenti in Italia, cresciuta dell’8,7% nel 2023, ma solo dello 0,4% nel 2024. Rispetto al resto dell’Europa, infatti, la nostra situazione appare particolarmente preoccupante, in quanto l’Italia ha vissuto, e sta tuttora vivendo, un periodo di investimenti ‘straordinari’ particolarmente rilevanti: a livello privato, con il ‘famigerato’ bonus del 110%, e, a livello pubblico, con i fondi del Pnrr: il combinato disposto dei due, i cui periodi di azione sono solo parzialmente sovrapponibili, sta avendo effetti pesantissimi sul debito pubblico (il cui servizio peserà inevitabilmente sui bilanci pubblici dei prossimi anni), ma nell’immediato sta impattando positivamente sulla domanda interna, non solo delle costruzioni (aumentate del 44,2% rispetto al 2019), ma anche sul suo indotto manifatturiero. Ciò significa che, senza ‘coda’ del 110% e attuazione del Pnrr, dovremmo registrare dati ancora più preoccupanti, probabilmente di vera e propria recessione.
Entrando nello specifico industriale, dobbiamo rilevare che il settore manifatturiero si differenzia da quello dei servizi perché strutturalmente caratterizzato da tempi di reazione alle congiunture (sfavorevoli o favorevoli che siano) più lunghi, e sta pertanto risentendo in maniera particolarmente pesante di questa situazione. L’indice Purchasing managers index (Pmi), che registra le aspettative di un campione significativo di manager degli acquisti nell’industria manifatturiera, conferma un trend in calo, registrando a novembre 2024 il valore di 45,2 a livello europeo e 44,5 in Italia (ricordiamo che valori inferiori a 50 denunciano aspettative di riduzione delle attività produttive).
Il futuro tra guerre commerciali, AI e tassi di interesse
Cosa dobbiamo aspettarci per i prossimi mesi? A fine novembre 2024, l’Economist ha pubblicato, come tutti gli anni, un numero speciale dedicato alle prospettive per il 2025. Tra i numerosi aspetti presi in considerazione, ce ne sono alcuni particolarmente rilevanti per il settore manifatturiero, a livello globale e specificamente italiano. In primo luogo, quello delle guerre commerciali.
Le minacce agitate dal neo presidente eletto Trump, insieme alle tensioni già in atto tra Europa e Cina, avranno conseguenze rilevanti: da un lato, come spiegato già due secoli fa da David Ricardo (con la Teoria del vantaggio comparato), le restrizioni agli scambi transnazionali riducono la produzione globale di ricchezza e costituiscono quindi una minaccia per tutti; dall’altro, la risposta che sembra emergere sempre più significativamente da parte dei Paesi esportatori (soprattutto la Cina) è la sostituzione dell’esportazione di beni con quella di capitali, cioè con la realizzazione di impianti produttivi nei Paesi importatori, spesso in partnership con imprenditori locali. Già nel 2023 (ultimo dato disponibile) gli investimenti di aziende cinesi all’estero sono stati di circa 160 miliardi di dollari, a fronte di ‘soli’ 30 miliardi da parte di aziende estere in Cina.
In secondo luogo, l’utilizzo dell’Intelligenza Artificiale (AI). Nonostante il grande, probabilmente eccessivo, interesse mediatico sul tema, l’attuale impatto dell’AI sull’economia sembra essere (ancora?) molto limitato. Già nel 1987, l’economista premio Nobel Robert Solow aveva rilevato il paradosso affermando: “Si può vedere l’era dei computer dappertutto, tranne che nelle statistiche di produttività”. In una recente indagine a largo spettro effettuata dal Census Bureau (l’istituto statistico statunitense) tra le imprese, meno del 6% ha dichiarato di utilizzare l’AI per la produzione di beni o servizi, e solo il 7% prevede di impiegarla nei prossimi mesi. Una simile indagine in Canada ha fornito analoghi risultati. Non meraviglia, quindi, che il tasso di disoccupazione medio nei Paesi Ocse si mantenga ai minimi storici, leggermente al di sotto del 5%.
Non da ultimo, la discesa dei tassi di interesse. È questa una delle previsioni probabilisticamente più attendibili. I tassi di inflazione sono ritornati vicino al 2% in quasi tutti i Paesi industrializzati e, a meno di brutte sorprese legate a eccessi di autarchia, non sembrano destinati a significative riprese. Ciò dovrebbe comportare significative riduzioni dei tassi di interesse, con ricadute favorevoli per i consumi e gli investimenti un po’ dappertutto (fermo restando quanto innanzi considerato in merito al generalizzato clima di incertezza).
Il futuro italiano dipenderà dalle medie imprese
Cosa deve aspettarsi il sistema produttivo italiano? Come sempre i cambiamenti comportano rischi, ma anche opportunità, soprattutto per le nostre medie imprese particolarmente attente all’innovazione e alle evoluzioni dei mercati internazionali, vere e proprie ‘multinazionali tascabili’ che, da anni, attraverso le loro esportazioni, sostengono la nostra bilancia commerciale.
La più rilevante peculiarità del nostro sistema produttivo è costituita infatti dal ‘patrimonio immateriale’ dei suoi imprenditori, magistrali portatori di quegli animal spirit cui l’economista John Maynard Keynes attribuiva fondamentale importanza nell’esprimere la prevalenza dell’ottimismo della volontà sul pessimismo della ragione: “A prescindere dall’instabilità dovuta alla speculazione, vi è un’instabilità di altro genere, dovuta a questa caratteristica della natura umana: che una larga parte delle nostre attività positive dipende da un ottimismo spontaneo piuttosto che da un’aspettativa in termini matematici, sia morale sia edonistica o economica. La maggior parte, forse, delle nostre decisioni di fare qualcosa di positivo, le cui conseguenze si potranno valutare pienamente soltanto a distanza di parecchi giorni, si possono considerare soltanto come risultato di animal spirit, di uno stimolo spontaneo all’azione invece che all’inazione, e non come risultato di una media ponderata di vantaggi quantitativi, moltiplicati per probabilità quantitative”.
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Ingegnere, è Professore Ordinario di Ingegneria Economico Gestionale presso il Politecnico di Bari, del quale è stato Rettore dal 2009 al 2013. Autore di circa 300 pubblicazioni a carattere internazionale e nazionale, prevalentemente sui temi del Supply chain management e del Construction management, ha svolto attività di ricerca e didattica in Usa, Regno Unito, Danimarca, Spagna, Cina. In qualità di Direttore Tecnico di una delle maggiori imprese generali di costruzioni italiane, ha curato la realizzazione di importanti opere di ingegneria industriale e civile in Puglia e Basilicata (centrale Enel di Brindisi Sud, numerose centrali telefoniche, centri di meccanizzazione postale, nuova chiesa di Padre Pio a San Giovanni Rotondo, ecc.). È stato Consigliere di amministrazione di Tecnopolis Novus Ortus e del Centro Laser di Bari. Dal 2014 al 2016 è stato Amministratore Unico di Acquedotto Pugliese Spa, e dal 2017 al 2021 Presidente del Consiglio di amministrazione di Retegas Bari. Attualmente è componente del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici.
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