Macchine e umani pari non sono

Il dibattito sulla tecnologia coinvolge tutti, ma è caratterizzato da narrazioni conformiste e omologanti, politicamente corrette, nei confronti dei padroni delle piattaforme tecnologiche e asservite ai loro modelli di business, alle loro visioni del mondo, filosofie e metafore, ai loro obiettivi estrattivi e di sfruttamento del plusvalore generato dalle interazioni digitali e sulle piattaforme social.

Ne deriva una celebrazione delle “magnifiche sorti e progressive” di un “secol superbo e sciocco”, come citava il poeta Giacomo Leopardi, che sembra avere delegato alla tecnologia il futuro dell’umanità dentro un’utopia di progresso illimitato. Siamo dentro una servitù volontaria, allegramente inconsapevole e acritica nei confronti di una tecnologia che neutra non è, forse non lo è mai stata. Non lo è perché ogni tecnologia ha inscritto nel suo codice genetico la logica di fondo (sviluppata da altri da noi) che ne determina l’utilizzo, l’algoritmo potente che oggi lascia scarsi margini di scelta e minori spazi di manovra, anche a chi continua, ingannandosi, a illudersi di poterlo dominare e piegare alle sue volontà.

Le tecnologie attuali si sono fatte piattaforma diffusa, infrastruttura complessa e globalizzata, macchine per un marketing da guerra finalizzato alla trasformazione di ogni tipo di scambio in merce. In questo contesto si confrontano oggi due visioni del mondo: una legata all’ideologia sciamanica della Silicon Valley che costruisce utopie antiumanistiche, si racconta alla ricerca di continui miglioramenti per l’essere umano, ma in realtà lavora al suo oltrepassamento, verso un transumanesimo nel quale a rimanere in disparte non è la componente macchinica, ma quella umana.

La seconda visione è antropologica, legata alla difesa dell’Umanesimo, di esseri umani liberi e responsabili, incarnati, dominati dall’asimmetria e dall’incertezza, dal dubbio e dalla paura di sbagliare, attori morali, capaci di intervenire sui fatti del mondo sulla base dei loro giudizi di valore ed etici, che si fanno guidare da emozioni, passioni, sentimenti, sogni, utopie e credenze (anche false), che non accettano di essere ridotti a meri meccanismi digitali, modellabili e orientabili e come tali controllabili, monitorabili e prevedibili, ma vogliono continuare a comprendere cosa stia cambiando e cosa è già cambiato nell’era dell’Antropocene.

Le storie che ci raccontiamo

Nell’epoca dello storytelling non ci sono più storie, ma solo varianti di un’unica monolitica narrazione tossica. Quella nella quale milioni di persone sono impegnate ogni giorno per rendere interessante la vita dei propri profili digitali, veri e propri simulacri con cui si raccontano online di essere ancora vivi. Senza accorgersi che, mentre il loro io è plurale, intenzionale, incoerente perché umano, pieno di sfumature, produttore di significati e di senso, dominato dalla temporalità biologica, -come afferma l’informatico e scrittore Giuseppe Longo- strettamente legato alle interrelazioni sociali e con gli altri, quello digitale è senza interiorità, semplice rappresentazione e recitazione, pura fiction, accettazione passiva di una prigione (acquario, voliera) dorata e ‘felicitaria’ nella quale si è rinunciato alla propria sfera privata e alla riservatezza; ogni gesto umano è ridotto a ripetitività, serialità, abitudini, socialità ingannevoli, reazioni binarie (azione-reazione) e funzionali, non dissimili da quelle di una macchina.

Ibridati tecnologicamente, incapaci, forse ormai impossibilitati, a riprendere il ritmo lento che caratterizza il cervello umano, impegnati in un gioco dal quale abbiamo paura di rimanere esclusi, alla ricerca di continue gratificazioni dopaminiche come quelle regalate dalle slot machine, abbiamo perso la capacità di riflettere criticamente sulla nostra condizione umana, di cogliere la differenza tra contatti digitali e contatti tattili e corporei, tra Smart working e lavoro o didattica in presenza, di perderci dentro i fili labirintici dei nostri pensieri, di riscoprire l’eros, la lettura, financo il sonno ristoratore, lontano dalla luce verde di un telefonino.

Viviamo dentro un mondo nuovo, molto tecnologico, digitale, siamo testimoni di una vera rivoluzione che, come quelle agricola e industriale precedenti, cambierà le sorti dell’umanità. Una rivoluzione radicale, accelerata e profonda perché dipende “dal funzionamento infaticabile delle macchine”, come sostiene Maurizio Ferraris in Documanità: filosofia del nuovo mondo. Siamo nell’era delle Intelligenze Artificiali (AI). Macchine robot dotate di algoritmi capaci di apprendere (Machine e Deep learning), di automatizzare processi, industrie e filiere, macchine che nel giro di pochi decenni potrebbero rilevare molti umani dalle loro incombenze lavorative (comprese quelle in Smart working), anche grazie alle loro accresciuta abilità di parlare, ragionare, svolgere azioni e prendere decisioni in ogni ambito e disciplina.

Per molti questa ri(e)voluzione tecnologica segnerà l’alba di una nuova era dell’abbondanza per l’intera umanità. Motivo valido per celebrarne le conquiste, le soluzioni e le promesse, nell’illusione di essere protagonisti, da umani, di una trasformazione (digitale) che potrebbe cambiare l’essenza e le potenzialità stesse del loro essere umani. Umani “dal cervello aumentato, ma diminuiti nella loro umanità”, come sostiene il filosofo Miguel Benasayag, in un futuro già qui, non più lontano e dominato dalle macchine.

Una destinazione, un punto di arrivo non solo possibili, ma probabilmente senza vie alternative di uscita, che dovrebbero suggerire, senza farsi condizionare dal rimpianto per il passato, di interrogarsi su quanto sta succedendo, su quanto si sta rischiando di perdere e su quanto avanti possiamo spingerci nella digitalizzazione delle nostre vite, siano esse personali o pubbliche, individuali o sociali, lavorative o professionali.

L’articolo integrale è pubblicato sul numero di Giugno della rivista Persone&Conoscenze.
Per informazioni sull’acquisto scrivi a daniela.bobbiese@este.it (tel. 02.91434400)

digitale, tecnologia, Intelligenza artificiale


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Carlo Mazzucchelli

Dirigente d’azienda, filosofo e tecnologo, è il Fondatore di SoloTablet, un progetto dedicato a una riflessione critica sulla tecnologia finalizzata alla tecnoconsapevolezza. Esperto in marketing e comunicazione, innovazione e management, ha ricoperto ruoli manageriali e dirigenziali in aziende italiane e multinazionali, con responsabilità internazionali. Giornalista e storyteller, formatore, relatore in eventi, seminari e convegni. È autore di 20 libri sulla tecnologia, pubblicati da Delos Digital.


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