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Manager, l’anello debole dello Smart working

Lo Smart working, così come tanti altri temi, essendo popolare, è trattato in maniera eccessivamente semplicistica. Con una visione semplice, tutte le ragioni – favorevoli e contrarie – sono in realtà plausibili. E per questo si creano i tifosi di una tesi o dell’altra. Considerazioni più speculative sono poco attrattive e quindi non convenienti dal punto di vista ‘marketing’. Questa premessa – di cui mi scuso – è doverosa: mi dà un senso di tristezza constatare la dilagante superficialità con cui sono trattati argomenti complessi.

Sullo Smart working mi piacerebbe che le considerazioni abbracciassero un perimetro più ampio. Per esempio, la possibilità di ripopolare paesini in via di estinzione dove potrebbero ritrovare nuovo vigore usi e tradizioni, anche culinarie, italiane. Si potrebbe assistere alla rinascita di mestieri in via di abbandono (è noto che non si trovino più panettieri). Questi borghi potrebbero essere attrattivi per una certa fascia di turismo. E questo settore genera indotti di diversa natura. Certo bisognerebbe accompagnare questo cambiamento da una diffusione a tappeto della banda larga (accordo con Musk?!), ecc. Per non parlare del fatto che lo Smart working potrebbe essere l’occasione e l’opportunità per rinforzare una classe manageriale che è uno dei veri punti deboli dello Smart working.

E che dire della via di mezzo (‘x’ giorni di lavoro agile al mese) che richiama al tema della flessibilità (leggasi anche ‘wellbeing’) che però deve essere organizzata, altrimenti diventa anarchia. Gestire meglio il proprio tempo consente di coltivare passioni, amicizie, sport, ecc. che, si sa, sono  linfa per il cervello: ricordo che i lavoratori delle grandi città o i pendolari ‘sprecano’ circa tre ore al giorno per il loro spostamenti casa-lavoro. E potrei continuare…

Stimolare un confronto (più costruttivo)

Tutto questo che ho rappresentato a titolo di esempio, ma potrebbero esserci variabili più interessanti da considerare, richiede un po’ di visione e soprattutto molto impegno. E invece dilaga la pigrizia. Sia quella mentale sia quella operativa. Mi dispiace che giornalisti, scrittori, ecc, che dovrebbero essere l’intellighenzia di un Paese, non stimolino e pungolino le classi dirigenti a volare più in alto (leggi l’articolo sul commento di Massimo Giannini sullo Smart working).

Personalmente un pensiero definitivo sullo Smart working non ce l’ho. Vedo, però, che i giovani si connettono, si rapportano e si integrano tra loro diversamente rispetto a come si faceva fino a una o due generazioni fa. Qualche dubbio sull’evoluzione del futuro e del modo in cui si socializzerà mi sovviene… E infine…l’Intelligenza Artificiale (AI). E se il 50% degli attuali mestieri fosse soppiantato dall’AI, chi saranno e che faranno quei dipendenti che ancora saranno ritenuti utili? Avranno ancora bisogno di lavorare insieme? Un po’ diffido da quelli che oggi vivono di certezze!

Le opinioni espresse nell’articolo sono da considerarsi come espressione a titolo personale dell’autore e non rappresentano in alcun modo la visione dell’azienda presso la quale l’autore lavora.

Smart working, lavoro agile, Massimo Giannini

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