Managerializzare le imprese per far crescere le PMI

Non serve più l’uomo solo al comando, ma un gruppo dirigente con capacità tecniche, gestionali e caratteriali.

Da un uomo solo al comando al gruppo dirigente. Quando un po’ di anni fa si trattò di trovare il titolo di un mio libro, l’editor mise a punto proprio questo. Pensate dunque con quale piacere e immedesimazione ho letto il testo scritto da Angelo Luigi Marchetti e Tiberio Tesi. Perché di questo si parla nel libro L’imprenditore e il manager – Costruire una sintonia per far crescere le PMI (Edizioni ESTE, 2020): di come un imprenditore, tendenzialmente ‘uomo solo al comando’ al pari del campionissimo Fausto Coppi, debba saper creare nel tempo un gruppo dirigente fatto di collaboratori-manager con il quale sapersi ‘fondere’ e gestire la crescita dell’azienda.

Il successo dell’impresa, soprattutto di quella di piccole e medie dimensioni, è quasi sempre dovuto alle capacità di una persona, appunto l’imprenditore. Le capacità di uno solo, tuttavia, per una legge imperscrutabile ma netta, portano spesso nel tempo all’insuccesso dell’azienda. Attorno all’imprenditore non bastano responsabili funzionali, occorre un gruppo dirigente. Però la costituzione di un gruppo dirigente richiede tempo, energie, capacità.

Il libro racconta nel dettaglio le diverse tappe di questo difficile, ma fondamentale, processo avvenuto nella specificità di un singolo caso aziendale. Qui il punto di svolta è l’incontro dell’imprenditore con un consulente di direzione; altrove può essere rappresentato dall’ingresso in azienda di un manager o di un membro di nuova generazione della proprietà. Tante le strade, ma unico l’obiettivo: creare un gruppo dirigente in cui siano fuse creatività imprenditoriale e razionalità manageriale.

Il rischio dell’accentramento di competenze

L’uomo solo al comando può essere pericoloso anche quando si tratti di un collaboratore dell’azienda. Se, per esempio, alla base del successo ci sono specifiche competenze di ricerca e sviluppo possedute da un geniale e tenace tecnico che l’azienda ha saputo portare a bordo, potrebbe verificarsi il caso che nel processo di sviluppo, da quelle competenze innescato, si rilevino alcuni – se non tutti – fatti destinati nel tempo a produrre conseguenze negative.

Vediamoli: un’eccessiva dilatazione delle responsabilità effettive del ricercatore ad aree riguardanti, per esempio, l’assistenza tecnica al cliente e, attraverso questa, al Commerciale e alla Produzione; un’asfittica organizzazione della funzione ricerca e sviluppo tutta centrata sulla forte personalità e competenza di quel tecnico peraltro oberato da troppi impegni; l’annichilimento delle altre funzioni aziendali e conseguentemente dei loro responsabili; un eccesso di personalizzazione nel modo di operare che finisce con il rendere più difficile qualsiasi sostituzione, qualora se ne manifestasse la necessità.

La risposta è, ancora una volta, quella di innescare un processo che amalgami le fondamentali competenze di qualcuno in un mix variegato ed equilibrato. In cucina una ricetta consolidata è fatta di diversi elementi, scelti ciascuno per il diverso contributo che può dare al sapore finale e sapientemente mescolati, senza la prevalenza o l’eliminazione di nessuno.

Come il libro giustamente mette in luce, non c’è solo un problema di competenze, ma anche di personalità. Sarà, dunque, necessario presidiare anche queste, per esempio, inserendo nel gruppo dirigente persone che abbiano anche capacità caratteriali – e non solo tecniche o gestionali – coerenti con l’ambiente per facilitare quell’amalgama di cui sopra. Tutte queste azioni richiedono un protagonista anch’esso mutato: l’imprenditore-Amministratore Delegato-Direttore Generale. Ed è sempre più vero quanto affermato da un famoso imprenditore del secolo scorso: del passato non mi occupo, al presente pensa la mia segretaria (il mio gruppo dirigente potremmo dire, sia pure in una visione limitata), io mi concentro sul futuro.

Un piccolo nota bene, infine. Nella bibliografia ragionata che chiude L’imprenditore e il manager viene citata solo un’opera di autore italiano, per giunta un sociologo, quasi a far pensare che questo fondamentale passaggio nella storia aziendale di una piccola e media impresa possa affermarsi più facilmente se ancorato a una cultura straniera e, segnatamente, anglosassone. Così non è più. Molti sono oggi gli autori di casa nostra, sia accademici sia practitioner, che hanno trattato l’argomento, alcuni dei quali dando giusto rilievo alla specificità del modello originale di sviluppo che caratterizza il nostro Paese. Spesso le ricette straniere, infatti, rischiano di dare troppo rilievo alla componente manageriale e, a quel punto, la maionese impazzisce.

leadership, PMI, imprenditore, gruppo dirigente


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Paolo Preti

Professore di Organizzazione delle Piccole e Medie Imprese presso l’Università Bocconi

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