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Mappare le competenze per potenziare la salute digitale

Giovani e dipendenti di organizzazioni di dimensioni in linea con la comune idea di Piccola e media impresa; sono questi alcuni dei profili di chi si rivela più propenso ad acquisire le competenze digitali. A dimostrarlo è la SmartiveMap di Smartive, la full service company italiana che propone ad aziende e organizzazioni percorsi di Change management ad hoc per diverse figure professionali. Attraverso un test online (di massimo 30 minuti), che incrocia skill, background e attitudini personali e professionali, utenti e aziende ottengono un report sulle competenze: una fotografia necessaria per comprendere lo scenario tecnologico interno all’azienda e prepararsi alle sfide del mercato, in cui la competizione è sempre più incalzante e le competenze devono essere sempre più forti e idonee. Lo conferma anche il report Future of work del World Economic Forum, secondo cui, nei prossimi cinque anni, il 50% della popolazione lavorativa sarà chiamata ad aggiornarsi.

Accanto ai dati e all’allarme lanciato dalla fondazione senza fini di lucro con sede a Cologny, vicino a Ginevra, nata nel 1971 per iniziativa dell’economista ed accademico Klaus Schwab, c’è una realtà nota a tutti: con l’inizio della pandemia, si è assistito all’accelerazione della Digital transformation, in ogni settore. Utilizzare le tecnologie, però, implica il cambiamento culturale di alcune modalità e approcci pratici da parte del personale per maturare una nuova consapevolezza di come gli strumenti siano al servizio della produttività e del lavoro quotidiano. È una strada, quella di acquisire competenze nuove, che non può prescindere da un percorso di formazione che introduca l’apprendimento continuo, fondamentale per restare competitivi (vale per le persone, ma pure per le aziende). Ecco, allora, che possedere strumenti per conoscere le competenze in possesso di persone e imprese si rileva molto utile.

I profili professionali aperti al cambiamento digitale

La soluzione di Smartive suddivide gli utenti che si sottopongono al test secondo cinque profili, dal più propenso verso il cambiamento digitale e dotato di elevati livelli di competenza al meno aperto nei confronti dell’innovazione e meno pratico nell’utilizzo delle nuove tecnologie (nell’ordine: embracer, believer, ally, skeptic e resister). Su 10mila test è emerso che ha una buona propensione al cambiamento prima di tutto chi lavora nel settore Risorse Umane, poi chi lavora in ambito Ricerca e Sviluppo e al terzo posto gli addetti al Marketing e alla Comunicazione. La predisposizione alle novità digitali diminuisce sempre di più nei settori (in ordine): Information Technology, General Services, Legal, Finance & Controlling, Purchasing Services, Sales e Operations.

I dati suggeriscono, poi, che anche l’età influisce sull’atteggiamento di apertura nei confronti delle novità, perché con il passare degli anni si è meno aggiornati e diminuiscono le competenze digitali. Non a caso, la maggior parte dei profili embracer e believer si individuano nelle fasce più giovani (fino ai 34 anni). Non solo, risulta anche che i profili più aggiornati relativamente alle competenze digitali siano quelli di coloro che hanno alle spalle meno anni di carriera all’interno della medesima organizzazione, come se la cristallizzazione di alcune abitudini indebolisse la capacità e anche l’interesse ad acquisire nuove competenze.

Infine, i dati rivelano che l’apertura al cambiamento aumenta con il crescere della popolazione aziendale, mentre per quanto riguarda le competenze digitali vale l’opposto (nelle realtà con meno di 200 dipendenti ci sono i risultati migliori). Sempre secondo quanto emerso, le prospettive future sono rincuoranti, perché nel mondo del lavoro la maggior parte delle persone (70%) è pronta al cambiamento e si dimostra desiderosa di affrontare le dinamiche connesse alla trasformazione digitale. Ciò che manca ancora, in molti casi, è la capacità per poterla sostenere e l’unico modo per superare questo ostacolo è la formazione.

Di fronte a questo scenario, Francesca Maria Montemagno e Marco Mazzini, Co-Founder e Managing Partners di Smartive, hanno commentato: “Trasformiamo le persone per trasformare le aziende. Non basta imporre un percorso per far sì che esso funzioni. È importante che i diretti interessati, cioè le persone all’interno delle organizzazioni, comprendano e condividano i motivi di questa trasformazione digitale, verso lo stesso traguardo”.

Dunque, serve partire da questi dati per pianificare azioni di cambiamento accurate che vadano a colmare i gap di competenze digitali e contribuire, così, a migliorare la produttività delle aziende italiane sul mercato globale.

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