Misurare le performance in digitale: basarsi su dati oggettivi per scelte vincenti
Per prendere decisioni strategiche obiettive e valutare le performance aziendali è fondamentale basarsi su dati certi. Solo in questo modo è possibile verificare in modo oggettivo l’efficienza dei processi, e intervenire per ottimizzare i punti in cui sono presenti criticità e quantificare l’effettivo miglioramento a seguito della trasformazione applicata. Inoltre, supportare le scelte e illustrare i risultati ottenuti con informazioni inconfutabili, permette ai decisori aziendali di agire meglio e rafforzare la propria credibilità. A sostenerlo è Paolo Grotto, CEO di Arket, azienda che aiuta le imprese a ottimizzare i flussi di lavoro quotidiani, unendo consulenza e soluzioni software per la gestione di documenti, processi e dati: “Oggi non è più sufficiente basarsi sulle sensazioni, ma è necessario avere una quantificazione precisa dell’andamento positivo o negativo delle prestazioni”.
La misurazione, d’altra parte, dovrebbe essere la base di qualsiasi cambiamento si voglia mettere in atto in azienda. “Si valutano le performance prima e dopo la trasformazione; di fatto, la variazione di processo va di pari passo con il cambiamento organizzativo”, spiega Grotto, specificando che, per questo motivo, occorre un accordo comune su quali parametri analizzare.
La prima considerazione da fare, infatti, è legata alla scelta di che cosa misurare e di conseguenza dei Key performance indicator (Kpi), cioè gli indicatori chiave di prestazione. Quando si vuole digitalizzare un processo, serve ragionare su determinati indicatori: “Per esempio, per quanto riguarda un processo di riscontro fatture, un Kpi da monitorare è il tempo di attraversamento del documento dal momento dell’acquisizione al momento della registrazione e del riscontro; oppure si possono misurare quante fatture sono registrate in un determinato intervallo di tempo o la diminuzione del tasso di errore a seguito dell’automazione; infine, se i tempi di attraversamento diminuiscono, si può capire qual è il beneficio dal punto di vista del risparmio del personale che posso ottenere adottando metodologie differenti di svolgimento delle attività”.
Grazie a tutte queste informazioni, quindi, è possibile effettuare anche una valutazione più ampia relativa alla competitività raggiunta grazie alla trasformazione in digitale e all’automazione di alcuni processi ripetitivi.
Misurare per identificare i colli di bottiglia, efficientare i processi e fare scelte migliori
Misurare un processo in digitale permette, innanzitutto, di individuare i colli di bottiglia: “Se un processo ha più punti di attraversamento e si scopre che ci sono latenze in una parte specifica, quello è un dato oggettivo su cui si può operare per capire che cosa causa la criticità e risolverla”, spiega Grotto. Questo significa aumentare in senso globale l’efficienza e poter misurare il miglioramento in modo obiettivo, con la possibilità di attribuire anche pesi differenti ai diversi parametri che vengono monitorati in base al contesto. Per esempio, dopo aver trasformato un flusso di lavoro, le affermazioni, devono essere verificabili: “Abbiamo ottimizzato del 20% i tempi di attraversamento” oppure “abbiamo diminuito del 50% l’indice di errore”.
Il digitale, in questo contesto, agevola la raccolta e l’analisi di dati oggettivi su processi e performance, modificando la modalità tramite cui si affrontano problemi e criticità. “In questo periodo storico di grande incertezza e complessità, in particolar modo, non ci si può più permettere di motivare azioni e decisioni con le sensazioni, per essere credibili sono necessari dati certi a supporto delle proprie affermazioni”, è il pensiero di Grotto.
Raccogliere e analizzare informazioni obiettive, infatti, permette di eliminare i bias che ognuno di noi ha inevitabilmente nel percepire e valutare le cose. “Per esempio, potrei avere la sensazione che le performance in un determinato reparto o flusso siano molto superiori di quanto in realtà non siano, o viceversa percepire inefficienze che poi i numeri non supportano” prosegue il CEO di Arket. Questo ragionamento può essere calato in tutti gli ambiti dell’azienda, dalla valutazione dell’andamento delle vendite o del carico di lavoro, fino alla misurazione dei tempi di approvvigionamento o delle performance dei fornitori. Questo consente di prendere delle decisioni più consapevoli e corrette, mettendo al sicuro l’azienda da scelte basate su sensazioni che potrebbero rivelarsi non corrispondenti con la realtà dei fatti e quindi potenzialmente controproducenti o dannose.
Valutare se il ritorno sull’investimento è favorevole
In generale, nelle aziende medio-piccole il concetto di misurazione ha un ruolo meno centrale che nelle aziende di dimensioni maggiori e solitamente il focus è più legato alla parte di produzione. “Più aumenta il numero di addetti e la complessità di un’azienda, più digitalizzare i processi d’ufficio e misurare le relative performance diventano aspetti strategici. Fondamentale è verificare il ritorno sull’investimento grazie ai dati oggettivi raccolti”, sostiene il CEO di Arket.
Ricordiamo poi che, pur avendo processi analoghi, ogni azienda ha una modalità operativa unica. Serve quindi un partner in grado di valutare ogni situazione nel dettaglio: “Arket adotta un principio di adattabilità alla realtà aziendale nell’analisi e applicazione delle migliori soluzioni”, dice Grotto. Si analizzano e si identificano i punti di forza e di debolezza, per andare incontro alle esigenze dell’impresa: “Questo significa avere capacità consulenziale: analizzare e potenziare ciò che può essere migliorato costruendo il processo in digitale esattamente come lo svolge l’azienda”, puntualizza il CEO della società di consulenza e software house veneta.
In questo contesto, l’aspetto umano è fondamentale, perché non basta integrare un nuovo strumento, ma bisogna agire anche sulla formazione e sul Change management. E qui subentrano le potenzialità delle persone: “La formazione è importante perché se bisogna cambiare modello, occorre che le nuove procedure siano interiorizzate”. È fondamentale, oltre alle conoscenze tecniche, avere la volontà di evolvere e dotarsi di un approccio orientato al cambiamento. Solo così la trasformazione digitale può avere successo.
Laureata magistrale in Comunicazione, Informazione, editoria, classe di laurea in Informazione e sistemi editoriali, Federica Biffi ha seguito corsi di storytelling, scrittura, narrazione. È appassionata di cinema e si interessa a tematiche riguardanti la sostenibilità, l’uguaglianza, l’inclusion e la diversity, anche in ambito digital e social, contribuendo a contenuti in siti web.
Ha lavorato nell’ambito della comunicazione e collabora con la casa editrice ESTE come editor e redattrice.
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