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Organizzare le piccole imprese alla luce del quarto capitalismo

Le piccole imprese e l’artigianato italiano sono considerate l’aspetto caratterizzante, il cuore del modello economico italiano. Si tratta di un dato di fatto che caratterizza anche questa fase economica di profonda trasformazione e l’avvento di quella che viene definita come Quarta rivoluzione industriale.

La capacità delle imprese artigiane e delle piccole imprese di continuare a creare valore e di agire sul mercato globale è, quindi, molto importante per lo sviluppo italiano e va analizzata considerando i chiaroscuri di questa fase economica, le difficoltà che esse si trovano ad affrontare e le opportunità che possono cogliere.

Un primo aspetto da considerare è, senza dubbio, quello della reputazione delle imprese di piccola dimensione. In piena epoca industriale un famoso saggio di Ernst Schumacher dal titolo Piccolo è bello aveva esaltato i valori sociali espressione delle piccole imprese e, quasi 30 anni dopo, il sociologo americano Richard Sennett, nel suo L’uomo artigiano, aveva posto l’attenzione sugli aspetti relativi alla creazione di benessere, espressione della dimensione produttiva artigiana.

Tra questi due testi di riferimento si colloca l’elaborazione del pensiero economico e sociologico italiano, che ha studiato l’importanza delle reti e delle aggregazioni delle PMI nella creazione di valore aggiunto e nello sviluppo italiano.

Le opere di studiosi come Giorgio Fuà, Giacomo Becattini e Arnaldo Bagnasco sulle caratteristiche dello sviluppo endogeno italiano, sull’economia delle comunità locali e sui distretti di impresa sono interventi importanti, che rappresentano un vero e proprio sostegno teorico che ha accompagnato la crescita dei sistemi e delle eccellenze delle reti e dei territori del Made in Itay.

Tuttavia, il mantenimento della capacità dei nostri sistemi di piccole imprese di creare valore deve fare i conti con i cambiamenti in corso e con le logiche della globalizzazione, abbandonando ogni accenno retorico e tenendo conto di come siano necessari interventi di riorganizzazione e riaggregazione delle imprese e delle loro organizzazioni di rappresentanza.

Perché ci possano essere piccole imprese 4.0, in un’economia 4.0, bisogna in primo luogo saper cambiare una cultura imprenditoriale e associativa che appare in molti casi ancora difensiva.

Per quanto riguarda l’aspetto relativo alla reputazione, che in questa fase incide sullo stesso marketing, il modello ‘artigiano’ costituisce senza dubbio un elemento di attrattività. L’artigianalità italiana è riconosciuta, soprattutto all’estero, come un valore e un’espressione di qualità, tanto quanto gli aspetti che riguardano l’autenticità e la tipicità della provenienza locale.

Anche se non ancora con l’enfasi e i risultati che caratterizzano il settore agroalimentare, il ‘piccolo è bello’ nel Manifatturiero si accompagna a una reputazione di qualità, che non appare tuttavia allo stesso modo presente nei Servizi.

In ogni caso, se assistiamo in questi anni a una diminuzione del peso specifico della produzione artigiana, in termini di volumi produttivi, allo stesso modo possiamo notare la diffusione dell’artigianalità come valore di riferimento per misurare la qualità delle reti di PMI.

Non è un caso che il marketing dei prodotti e dei servizi italiani spesso utilizzi la combinazione tra il territorio e la tradizione artigiana, con slogan quali “artigiani della qualità”, che colpiscono l’immaginario collettivo.

Se dopo la lunga crisi dell’industria, oggi, l’artigianalità è tornata a essere un tratto distintivo dell’economia italiana, questo non significa che la soluzione definitiva per lo sviluppo endogeno sia a portata di mano e presente ovunque. L’economia della qualità necessita di investimenti ancora non del tutto presenti nel sistema e la propensione all’export va sostenuta con maggiore decisione, in quanto appartiene a una minoranza delle piccole imprese italiane.

Piccolo è ancora bello, quindi, solo se la formazione di valore dal territorio mantiene lo standard richiesto e consente la creazione di reti e aggregazioni in grado di trasmettere valore nel sistema, evitando le logiche della concorrenza al ribasso nella filiera.

Questo standard di sistema deve trovare adeguati servizi e strumenti a livello locale e nazionale per perpetuarsi. A oggi il quadro appare chiaro, così come la tendenza in atto, ma i territori e le imprese si muovono in ordine sparso, in assenza di un quadro nazionale e di una politica industriale di riferimento in grado di portare avanti e aggiornare, nei sistemi delle piccole imprese, quanto impostato con il programma promosso alcuni anni fa dal Governo italiano e denominato Industria 4.0.

L’articolo integrale è pubblicato sul numero di Gennaio-Febbraio 2020 di Sviluppo&Organizzazione.
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artigianalità, industria 4.0, made in Italy, cambiamento organizzativo, PMI


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Romano Benini

Esperto degli interventi per lo sviluppo economico del Pnrr presso la Presidenza del Consiglio, Romano Benini è Professore di Sociologia del Welfare presso la Link Campus University di Roma e docente di Sociologia del Made in Italy presso l’Università la Sapienza di Roma. Giornalista economico e saggista, è autore de Il posto giusto, programma economico di RaiTre, e di numerosi saggi.

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