Paese che vai, runner che trovi
Ho iniziato a correre a fine 2015. Per ‘dovere’ aziendale. E oggi non posso farne più a meno.
L’attività che svolgo come giornalista mi porta spesso a viaggiare in Italia e all’estero. Da runner agonista – seppure in un ambito amatoriale – non perdo occasione di correre nelle città che ho occasione di visitare per lavoro.
Con la sveglia costantemente programmata alle 5.10, posso anche permettermi di fare un tour delle città che per esigenze lavorative conosco solo attraverso hotel e centri convegni. Ovviamente il tour lo faccio… di corsa. Organizzando l’uscita tra le vie sconosciute con qualche giorno d’anticipo rispetto all’arrivo, mi consento di correre con il pilota automatico, senza preoccuparmi del percorso già memorizzato. Così ho tutto il tempo per godermi l’alba in posti del tutto nuovi: Tiergarten di Berlino, lungomare di Catania, porto di Napoli, Lungarno di Firenze…
Pur rispettando le tabelle di allenamento (c’è sempre una gara da preparare!), quando sono lontano dall’Alzaia Naviglio Grande di Milano – che resta la mia pista di allenamento dove faccio davvero quella fatica propedeutica per migliorare la performance – mi concedo il lusso di perdermi tra i miei pensieri. E ce n’è uno che ricorre spesso e che mi vede impegnato a contare le persone che corrono e che incrocio nella mia uscita delle 6 del mattino.
Ho quindi elaborato un nuovo indicatore, prendendo spunto dal Pil. Se hanno creato il Bil (Benessere interno lordo), ho tutto il diritto di proporre il Ril, cioè Running interno lordo e che ha una relazione diretta con il potenziale della città (o del Paese). Non parlo del benessere e degli altri aspetti positivi della corsa, ma del fato che laddove incontro tanti corridori, mi pare di percepire di essere in un territorio realmente più dinamico e – nel caso dell’Italia – davvero più produttivo o per lo meno con più speranza di rilancio.
Quando ho corso (due volte) a Berlino sono rimasto scioccato della folla che ho incontrato. E non parlo solo dei runner invasati – io appartengo a questa categoria – concentrati sulla performance, sui dati, ecc. Nella capitale tedesca, dove alle 6 del mattino c’è piena luce che sembra già mattina inoltrata (almeno a giugno), ho fatto quasi fatica a tenere il mio passo per il ‘traffico’ di gente impegnata a correre.
Tornato in albergo per la consueta doccia di fine corsa che fa iniziare la giornata lavorativa, all’epoca della trasferta berlinese, mi resi conto del motivo per cui la Germania è da sempre la locomotiva d’Europa: se alle 6 sono tutti svegli a correre, a parte qualche inciampo (oggi in effetti l’economia tedesca zoppica un po’) mi pare normale che il Paese corra spedito.
Diverso è il caso delle corse fatte in Italia, che si trasformano in spedizioni solitarie. A parte qualche rara eccezione. Per esempio Catania, dove di recente ha fatto tappa il progetto Runu della casa editrice ESTE. Nonostante il buio che precede l’alba, ammetto di aver incrociato varie tipologie di runner: dal fanatico all’amatore, passando anche da qualche Over 70 vestito da podista e intento a camminare spedito.
Qualche ora dopo, rinfrescato dalla doccia e adeguatamente alimentato dalla colazione, ho moderato l’evento in un albergo catanese cui hanno partecipato imprenditori, manager e Responsabili del personale di varie aziende. E ho scoperto che qualche tempo fa Catania era un polo attrattivo che nel tempo ha perso smalto. Difficile stilare la lista dei ‘colpevoli’. Ciò che resta è una città che ora lavora per tornare ai fasti del passato, ma con le difficoltà tipiche del nostro tempo che impone tempi di reazione ben più rapidi di un tempo.
Eppure, a differenza di altre città italiane, la corsa del mattino a Catania mi ha fatto respirare una frizzante aria di potenziale ripresa. Un po’ come quei runner che arrivano al muro del 30esimo chilometro in maratona e iniziano ad annaspare, ma che in realtà hanno ancora benzina per arrivare in fondo. Magari sbuffando, ma arrivando al traguardo con le proprie forze.
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