Parlare alla pancia o al cervello?

Non è stata una bella settimana. Certo, nel bel mezzo della seconda ondata pandemica, le buone notizie bisogna andarsele a cercare, ma diventa tutto molto difficile se l’umanità dà una pessima prova di sé. È stato anche faticoso celebrare la giornata mondiale contro la violenza sulle donne. In questa ricorrenza, non abbiamo dati grandi prove. Peraltro è bene ricordare che il delitto d’onore è stato cancellato dal nostro ordinamento nel 1981 e la legge che riconosce la violenza come reato contro la persona risale al 1996. Praticamente l’altro ieri.

Che la donna venga ancora percepita da qualcuno come una proprietà di cui disporre a piacimento è dimostrato dai fatti.  Altrimenti non si giustificherebbero le efferate violenze verso donne colpevoli di volersi allontanare dal compagno. Guarda caso la violenza più brutale, e che non lascia scampo, si verifica spesso quando lei decide di vederlo l’ultima volta. E quella volta sarà drammaticamente l’ultima davvero.

Istat restituisce i dati delle chiamate al numero verde promosso dal Dipartimento Pari Opportunità per intercettare richieste di aiuto durante la pandemia: nel periodo compreso tra marzo e ottobre di quest’anno sono aumentate del 71,7%, i messaggi sono passati da 829 a 23.071. Si dice che se non misuri un fenomeno non lo puoi migliorare. Ecco, noi misuriamo, ma cosa stiamo facendo?

Le aziende, singolarmente, moltissimo: pensiamo alla Fondazione Libellula creata da Zeta Service che riunisce un network di aziende impegnate concretamente nella decostruzione degli stereotipi di genere e nello sviluppo di una cultura inclusiva che, partendo dal perimetro aziendale, può riflettersi positivamente sulla società.

Ma è una strada in salita se la nostra televisione manda in onda video-tutorial che illuminano le donne su come fare la ‘spesa sexy’. A ben guardare potremmo magari considerare il video in questione una rivincita della socialità a scapito delle piattaforme di incontri online: dopo mesi passati davanti agli schermi ecco qualche semplice regola per far scoccare la freccia di cupido nel mondo reale. Certo, qui si è andati un po’ oltre. Chi non vive su Marte sa che, mediamente, una donna che lavora la spesa la fa online o nei ritagli di tempo. Se la spesa presuppone sedute dal parrucchiere e consulti con la stylist del momento per aggirarsi tra le gondole del supermercato, allora si sta facendo altro. E questo altro non può trovare spazio in un servizio trasmesso da una rete pubblica che deve contribuire, al pari di quel che fanno molte aziende, a costruire una cultura che incentivi rispetto, uguaglianza e inclusività.

Il cammino alla creazione di condizioni di uguaglianza e inclusività è prodigo di insidie e, sempre in questi giorni, abbiamo assistito alla squallidissima vicenda dell’imprenditore festaiolo passato da un attico superlusso al carcere. La vicenda è sin troppo nota e non credo si salvi nessuno. Non si salva per ovvie ragioni l’imputato. Non si salva chi usa linguaggi da bar sport per esprimere opinioni che contengono fondi di verità e che da cittadini e genitori non possiamo ignorare. Bisogna quindi smetterla di parlare alla pancia della gente. Chi ha gli strumenti per farlo dovrebbe stimolare un pensiero, non reazioni animalesche. E questa la considero una colpa grave. Non si salva nemmeno chi in nome della difesa dei diritti impone un punto di vista. Occorre un salto di qualità nella comunicazione. E interpellare sull’argomento personaggi alla Fabrizio Corona nei programmi televisivi, presentandoli come maître à panser, non mi pare una buona idea. Bisogna far circolare pensieri un po’ più elevati di quelli che da decenni trasmettono programmi beceri che fanno milioni di ascolti. Se non saremo capaci di arginare questo vuoto, la schiera delle diciottenni disposte a tutto per un selfie con il potente di turno sarà sempre più numerosa. Nell’era del politically correct è lecito dire che chi non ha spento i televisori o buttato un cellulare per arginare una folle rincorsa all’ultimo like è partecipe del degrado e si assume un bel carico di responsabilità?

violenza sulle donne, inclusione, Fondazione Libellula, uguaglianza


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Chiara Lupi

Articolo a cura di

Chiara Lupi ha collaborato per un decennio con quotidiani e testate focalizzati sull’innovazione tecnologica e il governo digitale. Nel 2006 ha partecipato all’acquisizione della ESTE, casa editrice storica specializzata in edizioni dedicate all’organizzazione aziendale, che pubblica le riviste Sistemi&Impresa, Sviluppo&Organizzazione e Persone&Conoscenze. Dirige la rivista Sistemi&Impresa e governa i contenuti del progetto multicanale FabbricaFuturo sin dalla sua nascita nel 2012. Si occupa anche di lavoro femminile e la sua rubrica "Dirigenti disperate" pubblicata su Persone&Conoscenze ha ispirato diverse pubblicazioni sul tema e un blog, dirigentidisperate.it. Nel 2013 insieme con Gianfranco Rebora e Renato Boniardi ha pubblicato il libro Leadership e organizzazione. Riflessioni tratte dalle esperienze di ‘altri’ manager. Nel 2019 ha curato i contenuti del Manuale di Sistemi&Impresa Il futuro della fabbrica.

Chiara Lupi


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