Parlo solo con la mia tribù d’azienda
Mentre molti lavoratori stanno rientrando in punta di piedi in ufficio, spesso con nuovi modelli di lavoro ibridi, l’ambiente professionale e relazionale nel quale si torna a muoversi ha una nuova caratteristica che, dal punto di vista della testata britannica Financial times, vale la pena provare a osservare da vicino. Si tratta di un maggior peso della dimensione che il giornale londinese definisce “tribale”, ovvero la tendenza delle persone a riunirsi in piccoli gruppi con un forte senso d’appartenenza e di identificazione, una caratteristica che le società moderne hanno via via perso nel corso del tempo, ma che la pandemia ha riportato in primo piano.
La maggior parte di noi ha riscoperto questa dimensione nei periodi più acuti dell’emergenza sanitaria, quando si imponeva la necessità di limitare i contatti sociali, costringendo le persone a fare una drastica selezione su chi incontrare e chi no. All’interno delle famiglie allargate e dei gruppi di amici non era più possibile coltivare – per lo meno in presenza – tutte le relazioni alle quali eravamo soliti dare attenzione. Per forza di cose si era costretti a scegliere, chi includere nella proprio ristretta cerchia relazionale.
Le comunicazioni tra persone si restringono
La questione, ha fatto notare sempre il Financial times, di come le nostre interazioni sul posto di lavoro siano state modificate da questo aspetto, ma soprattutto dal lavoro a distanza, è stata meno discussa. Tuttavia, un team di ricercatori della Harvard business school, della Johns Hopkins University e di Microsoft ha affrontato la questione analizzando 360 miliardi di email inviate, attraverso il programma di posta elettronica del colosso statunitense Microsoft Outlook, da 1 miliardo circa di dipendenti di 4mila aziende di tutto il mondo, in un periodo di 24 mesi prima e dopo l’inizio della pandemia.
Pur non rilevando il contenuto delle email o l’identità dei partecipanti, che sono rimasti anonimi, la ricerca ha studiato i cosiddetti modelli di modularità, ovvero il grado secondo il quale le comunicazioni erano raggruppate in silos di informazioni autonome, come se si trattasse di ‘tribù’ virtuali.
Prima del Covid, questo parametro variava in base ai Paesi. I lavoratori in Germania, per esempio, comunicavano in larga misura tra loro, mentre le aziende con sede in Canada mostravano un minore ‘tribalismo dipartimentale’. Il resto d’Europa e l’America si collocavano da qualche parte tra questi due estremi. Quando, però, all’inizio del 2020 il Coronavirus ha iniziato a manifestare i suoi effetti, si sono verificati due cambiamenti evidenti: in primo luogo, ovviamente, il livello generale di comunicazione email è esploso. In secondo luogo, la tendenza a comunicare soprattutto con un piccolo gruppo di persone è aumentata notevolmente in tutte le località.
Non restare bloccati nella nostra tribù
Secondo Gillian Tett, giornalista britannica e autrice di numerose pubblicazioni sul tribalismo moderno, si tratta di un processo che può presentare, allo stesso tempo, aspetti positivi e negativi. Tra i primi c’è il fatto che i piccoli team sono generalmente più efficienti e responsabili dei gruppi non strutturati; tra gli svantaggi, invece, il rischio che l’organizzazione in silos faccia ‘fare cose stupide a persone intelligenti’. Tett ha sottolineato un altro aspetto problematico: chiudersi in piccoli gruppi può ridurre l’innovazione in alcune organizzazioni e le squadre piccole e rigide possono diventare obsolete: “L’innovazione spesso nasce da nuove combinazioni di conoscenze lontane”, ha precisato l’autrice.
Al netto, quindi, del desiderio innato delle persone di mantenere le proprie reti al sicuro, se consentiamo alle nostre ‘tribù’ fisiche e informatiche dell’era della pandemia di trasformarsi in cerchie rigide e chiuse, siamo destinati a soffrirne tutti. Potrebbe, quindi, essere utile chiedersi a chi, di recente, non abbiamo inviato un’email. Che si tratti di personale impiegato nell’area IT o nella mensa dell’azienda, tutti possono svolgere un piccolo ruolo nell’aiutarci a non rimanere bloccati nella nostra tribù.
Fonte: Financial times
Laureata in Filosofia, Erica Manniello è giornalista professionista dal 2016, dopo aver svolto il praticantato giornalistico presso la Scuola superiore di Giornalismo “Massimo Baldini” all’Università Luiss Guido Carli. Ha lavorato come Responsabile Comunicazione e come giornalista freelance collaborando con testate come Internazionale, Redattore Sociale, Rockol, Grazia e Rolling Stone Italia, alternando l’interesse per la musica a quello per il sociale. Le fanno battere il cuore i lunghi viaggi in macchina, i concerti sotto palco, i quartieri dimenticati e la pizza con il gorgonzola.