Italia_imprese_Sud

Partecipazione e innovazione condivisa, le imprese italiane oltre la crisi

Ciò che si propone in questo articolo è una visione integrata delle politiche pubbliche e territoriali rivolte alla crescita come sviluppo di sistemi produttivi aperti e competitivi capaci di fronteggiare sia la globalizzazione mercatistica sia la digitalizzazione diffusa della produzione 4.0 (Bianchi e Labory, 2016), a partire dal radicamento in specifici territori di definite conoscenze-competenze utili alla personalizzazione di beni e servizi entro filiere e reti di appartenenza (Rullani, 2004; 2010).

A tale scopo serve guardare, in particolare, alle trasformazioni del profilo delle imprese e alle opportunità di crescita partecipata, reticolare e condivisa nonché al loro contributo a strategie di sviluppo nel medio-lungo periodo, oltre i vincoli shumpeteriani e di uno “stato keynesiano” appesantito, esplorando assetti di una democrazia attiva, diretta e inclusiva. Mutamenti necessari, questi, orientati a ridurre i pesanti differenziali di produttività e competitività, oltre che di innovazione superando blocchi ‘sistemici’ da rendite di posizione e da lentezze delle riforme strutturali, per fuoriuscire dalla stagnazione della produttività che attanaglia il nostro Paese da oltre 25 anni e dare risposte alle diffuse politiche deflazionistiche europee.

Dalla crisi economica strutturale, che avanza da ben oltre i sette anni dei “cicli biblici”, e da una stagnazione che colloca la crescita futura dell’Italia sotto l’1% con effetti devastanti su occupazione, base produttiva e ruolo stesso dei nostri sistemi di PMI si esce con una politica industriale che abbia la crescita (investimenti, consumi e qualità dei contesti di attrattività) negli obiettivi prioritari e con politiche di sviluppo urbano che facciano da volano e conduzione di politiche di innovazione ecologica, sociale e open (Chesborough, 2003) con alla base incentivi alla formazione di capitale umano adatto.

Quella che abbiamo vissuto è una crisi economica che – come noto – parte da una caduta pluriennale della domanda interna di consumi e investimenti alimentata dal circolo vizioso e deflazionistico tra rinvio degli acquisti e rinuncia agli investimenti uniti da un unico circolo tra sfiducia e aspettative negative (Cappellin, Baravelli, Bellandi, Camagni, Ciciotti, Marelli, 2015).

Non basta quindi ‘tagliare – seppure selettivamente – la spesa’, ma introdurre stimoli alla crescita, liberando risorse per gli investimenti innovativi e soprattutto migliorando la qualità dei contesti territoriali (la business atmosphere di marshalliana memoria) (Becattini, 1998; 2000; Cooke, 2001; Maskell, 2001). È necessaria una più avanzata qualità dei contesti spaziali e territoriali per attrarre investimenti e talenti e co-generare innovazione condivisa volta alla mobilitazione partecipativa delle creatività individuali e collettive da crescente varietà (offerta e domanda), stimolando anche il cambiamento della cultura d’impresa e dei modelli gestionali prevalenti inadatti alle trasformazioni e all’iper-competizione globale in corso (Teece, 2007).

L’articolo integrale è pubblicato sul numero di luglio-agosto 2016 di Sviluppo&Organizzazione.
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imprese, innovazione, crisi italia


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Luciano Pilotti

Professore Ordinario presso il Dipartimento di Scienze e Politiche Ambientali, Università degli Studi di Milano

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