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Passaggio generazionale, occasione per la crescita dell’azienda
Il passaggio generazionale è destinato a coinvolgere tutte le imprese italiane (molte lo hanno già affrontato e altre ne sono coinvolte proprio in questo momento storico). È un processo che richiede grande attenzione e del quale è bene occuparsi per tempo. Eppure è una questione ancora poco dibattuta, come sottolinea Alberto Salsi, ideatore del Premio Di padre in figlio, l’iniziativa nata nel 2008 e rivolta a imprenditori appartenenti almeno alla seconda generazione di aziende familiari italiane e con un fatturato superiore ai 10 milioni di euro.
Dal suo osservatorio di economista d’impresa ed esperto delle dinamiche del family business italiano, Salsi nota una sorta di perenne reticenza nell’affrontare la questione: “Spesso gli imprenditori, inconsciamente, si considerano ‘immortali’, rimandando così una questione urgente”. Che sia un tema sempre più attuale lo dicono anche i dati raccolti dagli stessi organizzatori del premio: il 70-90% delle imprese italiane è guidato, infatti, da imprenditori con più di 65 anni. Dunque, non prendersi cura del passaggio generazionale è molto rischioso per l’azienda e per tutti i suoi stakeholder.
A complicare ulteriormente lo scenario è il fatto che spesso manca un successore designato: non sempre serve un parente, ma possono essere utili anche le figure esterne, come manager, nuovi soci, fondi d’investimento… “Quando un’azienda scompare, viene meno un’intera filiera produttiva con il suo prezioso contributo economico e sociale”, commenta Salsi, ribadendo il pericolo di non affrontare per tempo il passaggio generazionale che deve diventare una priorità per tutte le aziende di ogni dimensione e qualunque mercato.
La questione sembra essere una peculiarità squisitamente italiana. Per esempio, rispetto alla Germania – Paese che è spesso uno dei nostri punti di riferimento – ci sono differenze rilevanti: il tessuto industriale tedesco è più aggregato (in Italia prevale una forte frammentazione e capillarità) e quindi il passaggio generazionale è meno diffuso e percepito in modo meno urgente. In Francia, invece, c’è addirittura un processo educativo specifico, promosso sia dagli enti intermedi sia dallo Stato. Più simile all’Italia è il Regno Unito: l’approccio al passaggio generazionale è lasciato principalmente all’iniziativa dei singoli imprenditori, con un certo distacco da parte dello Stato e degli enti intermedi.
I figli non sempre vogliono subentrare ai genitori
In Italia c’è una difficoltà che ci caratterizza e riguarda la denatalità. Gli stessi organizzatori del premio dedicato alle imprese familiari che meglio hanno gestito il passaggio generazionale, evidenziano che oggi in Italia esistono più imprese che figli. Da un lato paghiamo il prezzo della scarsa crescita demografica del nostro Paese; dall’altro c’è la questione del diverso percorso delle nuove generazioni, per le quali subentrare ai genitori non è più un percorso naturale”, spiega Salsi. Quest’ultimo aspetto non è un’accusa verso i figli, perché spesso questa scelta è legata alla disaffezione nei confronti di un certo modello imprenditoriale.
Per molti giovani, infatti, la vita dei genitori è stata piena di sacrifici, senza una chiara separazione tra la sfera personale e professionale: “Pensiamo alla casa dell’imprenditore sopra lo stabilimento o al giardino della villa familiare che confina con quello dell’impresa; questa fusione tra vita privata e attività aziendale, che ha rappresentato una formula vincente per l’Italia negli Anni 60, era un modo di vivere che rifletteva la passione per l’impresa”. Oggi, però, le nuove generazioni hanno prospettive e ambizioni diverse; non si tratta di snobismo, ma di una scelta consapevole, presa considerando le molteplici opportunità che esistono, anche all’estero.
L’allontanamento, ragiona Salsi, non deve essere visto come un tradimento, ma come l’espressione di un desiderio legittimo di crescita personale. Per questo, molti imprenditori illuminati accettano e approvano la scelta dei figli di fare esperienze al di fuori dell’impresa familiare e, con consapevolezza, aprono le porte a figure esterne, introducendo amministratori indipendenti nei Consigli di amministrazione e altri manager. Inoltre, questi imprenditori spesso ricorrono a strumenti societari come i patti parasociali e gli accordi familiari che permettono ai figli di rimanere, comunque, azionisti dell’azienda senza però avere un ruolo attivo nell’organizzazione. La finanza, poi, facilita ulteriormente questo processo di passaggio generazionale che non coinvolge la famiglia: l’apertura del capitale a fondi di private equity, a concorrenti o addirittura la quotazione in Borsa consente agli imprenditori di mantenere il ruolo di azionisti, delegando però la gestione operativa a nuovi manager.
Il cambio generazionale come percorso graduale
Ovviamente esistono anche i casi per i quali i figli scelgono di entrare attivamente nell’azienda. In questi contesti, due predisposizioni risultano determinanti: il desiderio di mantenere una propria indipendenza di pensiero e azione; la volontà di dimostrare autorevolezza per guadagnare una posizione di equilibrio tra gli eventuali manager già presenti e i genitori. È da qui che può iniziare il ‘buon’ passaggio generazionale.
Attenzione, però, perché questa fase di cambiamento deve essere considerata come un percorso graduale. Quando un figlio o figlia entra in azienda, deve crescere, formarsi e possibilmente essere affiancato da un mentore in previsione della responsabilità che avrà nel futuro: “È importante che il giovane non nasconda i propri errori, ma li consideri una preziosa occasione per migliorarsi; solo imparando da essi può costruire una solida esperienza imprenditoriale”, ragiona Salsi. Con il tempo, le nuove generazioni acquisiscono competenze, ritagliandosi anche un ruolo: “È a questo punto che si accende quello che definisco il ‘sacro fuoco del fare impresa’, lo stesso entusiasmo che, nonostante le difficoltà, ha guidato il genitore e che, spesso, si trasmette per osmosi”. E quando il figlio raggiunge questa fase, significa che il percorso passaggio generazionale è sostanzialmente compiuto.
Serve precisare che non esiste un’età precisa in cui avviene questa fase, anche se, secondo Salsi, chi inizia presto può raggiungere il successo e la piena autonomia nella gestione dell’azienda addirittura intorno ai 35 anni (vale in particolare per chi non ha intrapreso un percorso universitario). Chi invece ha scelto di frequentare l’università tende a raggiungere il traguardo più tardi, di solito prima dei 40 anni. “Questi due percorsi sono assolutamente complementari. Il figlio non laureato ha una grande dotazione di esperienza pratica ed è spesso volitivo, come probabilmente lo è stato il padre. D’altro canto, il figlio laureato risulta più strutturato nel pensiero, più metodico e analitico”, dice il fondatore del Premio di Padre in figlio.
Altra variabile da prendere in considerazione è il genere. In alcuni settori, come quello metalmeccanico o in ambiti tradizionalmente maschili, il pensiero comune vuole ancora una certa reticenza nel passaggio della leadership alle donne, anche quando queste lo desiderano. Ma è, appunto, un pregiudizio. “Dai circa 2.200 casi esaminati, confermo che questa resistenza è ormai superata”, riferisce Salsi, dall’alto delle 13edizioni del premio promosse. “Abbiamo visto donne capaci e preparate alla guida di aziende anche in settori come fonderie, trasporti e aviazione, affrontando con successo processi industriali complessi”.
L’autocandidatura fino al 20 marzo
Compresa l’urgenza, serve allora intervenire con un’azione di sensibilizzazione. Per questo è nato il Premio Di padre in figlio, che ha anche l’obiettivo di ‘smuovere’ il sistema imprenditoriale italiano sulla questione. L’iniziativa ha già creato opportunità di confronto tra imprenditori di diversi settori e territori, stimolando una sana competizione e portando alla luce casi virtuosi da condividere.
A fare la differenza c’è proprio il ‘buon’ esempio: chi ha affrontato questa sfida con la giusta attenzione ha, infatti, raggiunto il successo. Anche la giuria riflette questo valore visto che molti di loro sono (o sono stati) testimoni diretti di passaggi generazionali ben riusciti. All’interno di questo panel, poi, ci sono pure i ‘facilitatori’ del processo, come commercialisti, avvocati e altri professionisti che possono fare la differenza nel passaggio generazionale. La giuria dell’edizione 2025 è presieduta da Marina Salomon, Presidente di Alchimia (holding di partecipazioni) e di Altana (vestiti per bambini). L’accesso alla selezione si basa su autocandidatura (è gratuita ed è aperta fino al 20 marzo 2025).
Negli anni, il premio si è allargato geograficamente: inizialmente concentrato al Nord, nel corso del tempo ha raccolto candidati da tutte le regioni italiane, isole comprese. Il premio ha, inoltre, acquisito visibilità, tanto che subito dopo ogni edizione la giuria riceve richieste di partecipazione per l’anno successivo. “Alcuni imprenditori, desiderosi di migliorare il loro risultato, si ricandidano con l’aspirazione di vincere o ottenere un riconoscimento maggiore”, commenta Salsi. Inoltre, l’iniziativa si è arricchita di importanti partnership, come quella con Business School dell’Università di Castellanza e il patrocinio di Unioncamere e di Cà Foscari Alumni, uno dei più grandi chapter europei di laureati. Anche questa edizione è stato promossa da Credem Euromobiliare Private Banking e da Pirola Corporate Finance.
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Alessia Stucchi è giornalista pubblicista. Laureata in Lettere Moderne in triennale e in Sviluppo Economico e Relazioni Internazionali in magistrale. Nel 2023 ha vinto il Premio America Giovani della Fondazione Italia Usa che le ha permesso di conseguire il master Leadership per le relazioni internazionali e il made in Italy. Nel tempo libero si dedica alle camminate, alla lettura e alle serie tivù in costume.
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