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Per le donne è tempo di fare spazio a se stesse

Tra le cose che abbiamo imparato dal lockdown c’è che il lavoro femminile dev’essere necessariamente supportato da un’infrastruttura scolastica efficiente. I numeri dimostrano che nei Paesi che possono garantire un livello di servizi all’infanzia adeguato alla richiesta, le donne mantengono, dopo la maternità, un più elevato livello di rappresentanza nel mercato del lavoro.

In Italia i posti negli asili nido (sia pubblici sia privati) sono sufficienti per accogliere solo il 30% dei bambini al di sotto dei tre anni. Nel resto d’Europa la disponibilità media si attesta su un posto ogni tre bambini. Nel Nord del Continente è garantito addirittura un posto ogni due bambini. Non sto a precisare che la partecipazione delle donne al mercato del lavoro, in questi Paesi, è più elevata che in Italia (siamo l’ultimo Stato europeo nella classifica dell’occupazione femminile).

Senz’altro, questo problema porta con sé anche una pesante eredità culturale legata alla società misogina e patriarcale, ma poter contare su una rete di servizi efficiente potrebbe rappresentare per le nuove generazioni di donne un incentivo per rientrare al lavoro (quando lo desiderano) e fare spazio alle proprie carriere.

Nonostante la retorica ottimista che oggi vorrebbe i padri impegnati nella cura dei figli tanto quanto le madri, la realtà dei fatti è ben diversa: ad aver perso il lavoro a seguito della pandemia e della chiusura delle scuole sono state 37mila donne. Il lockdown ci ha insegnato che la parità dei sessi non passa dalle quote rosa (nemmeno se queste fanno parte della composizione della task force di ricostruzione guidata dal dirigente d’azienda Vittorio Colao), ma, per esempio, dal vedere garantito per ogni cittadino, al di là del genere, il diritto al lavoro. Che sarebbe uno dei primi citati dalla costituzione.

La parità di genere si riflette anche nel salario, perché se io guadagnassi tanto quando il mio analogo maschile forse non sarei la prima vittima sacrificale tra i due stipendi che entrano in casa. O potrei permettermi di continuare a lavorare e avere anche una tata, un ‘aiuto’ in più o di rivolgermi a un asilo privato. Un po’ ingenuamente mi chiedo come sia possibile che una persona venga pagata meno o di più per il suo lavoro a seconda che sia un uomo o una donna.

Sappiamo che il costo del personale è una delle voci più importanti nel budget di un’azienda, ma risparmiare creando una disuguaglianza che inevitabilmente avrà ripercussioni sui livelli di retention e sulla produttività mi pare davvero un controsenso. E soprattutto, così facendo, le aziende dimostrano di guardare solo all’utile di breve termine e non ragionare in ottica sistemica: uno stipendio adeguato crea un nuovo potenziale consumatore. La ricchezza gira, il Pil ne guadagna. Prima di riempirci la bocca con paroloni come ‘economia circolare’, dovremmo partire dai basic.

La cronaca ci annuncia che in Ferrari viene ‘finalmente’ sancita la parità salariale tra collaboratori uomini e donne: non so se sono più offesa dal fatto che la parità non fosse data per scontata o dal fatto che faccia notizia l’adozione di una misura che dovrebbe essere un sottinteso della nostra società civile.

Per fortuna le mie figlie sono ancora piccole per ragionare sulle notizie che ascoltiamo al telegiornale, perché se mi avessero chiesto: “Mamma, perché le donne venivano pagate meno degli uomini?”, davvero, non avrei saputo come rispondere per non sembrare un’imbecille che fa parte di una generazione che ancora non è riuscita ad aggiustare le cose.

Forse, avrei girato la domanda al loro papà. Perché anche a me piacerebbe ascoltare dalla bocca di un uomo il perché di questa situazione. E soprattutto sentire che non c’è alcun fondamento alla base di questa discriminazione, solamente tanta stupidità. La stessa che ci fa credere che tutte le donne che in questi mesi si stanno mobilitando per rivendicare una sistema scolastico dignitoso, siano delle madri snaturate che desiderino solo ‘parcheggiare’ il proprio figlio da qualche parte per andare a lavorare!

Davanti alle richieste rivolte al Governo, in relazione all’immediato futuro scolastico dei nostri figli, si è formato un pericoloso fronte di falangi reazionarie che sostengono che i figli non sono affare dello Stato, ma delle famiglie (traduco: delle mamme). Tu, madre incosciente, che hai fatto un figlio senza conoscere le responsabilità che questo comporta, ora pretendi pure di lavorare ed essere sovvenzionata dallo Stato assistenzialista per poterlo fare senza tuo figlio tra i piedi e a spese dei contribuenti! Queste fazioni ci dimostrano che non è poi così scontato il percorso verso ‘un’emancipazione’ che oggi vorrei dare per sottintesa.

Nell’immaginario comune sono associate alla donna le mansioni di cura: una donna accoglie, fa spazio all’altro e nutre la vita (il ventre materno ce lo dimostra letteralmente). Ora è venuto il momento di far spazio anche a noi stesse, prima ancora di scalfire l’ormai noto soffitto di cristallo.

Martina Galbiati pubblica le sue riflessioni nella rubrica “Risorse Umane e Non Umane” di Persone&Conoscenze.
Per informazioni sull’acquisto di copie e abbonamenti scrivi a daniela.bobbiese@este.it (tel. 02.91434400)

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Martina Galbiati

Martina Galbiati è Responsabile Marketing della casa editrice ESTE

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