Scuola_accountability

Per una cultura dell’accountability della scuola

Come sarà la classe dirigente di domani se la scuola produce ignoranti? Era la domanda preoccupante, ma ragionevole e pertinente, della riflessione in merito all’ultimo rapporto del Censis che aveva definito, senza mezzi termini, la scuola una “fabbrica di ignoranti”, con tanto di dati drammatici rispetto al non raggiungimento degli obiettivi di apprendimento minimi degli studenti: in sintesi i giovani non sanno leggere, scrivere, far di conto e applicare la logica. La conseguenza indicata dal Censis è che dovremo prevedere una condizione di ignoranza diffusa nel nostro Paese, perché chi frequenta oggi la scuola, presto entrerà in azienda (o in altre organizzazioni) e magari in posizioni di responsabilità…

È indiscutibile che per far fronte alle complesse e talvolta imprevedibili trasformazioni economiche e sociali a cui è sottoposta l’Italia, anche in conseguenza dei nuovi scenari che si affacciano all’orizzonte, abbiamo obbligatoriamente bisogno di un sistema scolastico altamente performante, a partire dall’istruzione tecnica e professionale, e non certo di una “fabbrica di ignoranti” che un ex Ministro ha definito “un ammortizzatore sociale”.

Si è già detto che l’istruzione tecnica di cui avremo bisogno per costruire quelle competenze che il mondo delle imprese richiede, deve poggiare su una piattaforma solida di ‘apprendimenti di base’ e non su un terreno di coltivazione inadatto, perché fatto da conoscenze di italiano, matematica, inglese e altre materie tecniche e professionali insufficienti, rispetto alle quali non sono neppure stati raggiunti i traguardi minimi di apprendimento previsti dagli ordinamenti. Su una piattaforma scolastica del genere non è possibile la crescita di nessuna nuova conoscenza e competenza; questi ultimi sono gli ingredienti fondamentali che poi dovrebbero concorrere alla formazione della classe dirigente di domani. Questi terreni così aridi sono anche la causa di altri problemi che investono la società: per esempio l’analfabetismo funzionale e i vari disagi giovanili in tutte le loro fattispecie.

Le responsabilità di scuole e classe dirigente

 C’è da chiedersi quanto queste preoccupazioni hanno colpito la classe dirigente attuale e quali reazioni e misure correttive hanno determinato. Per “classe dirigente” intendiamo non solo gli addetti ai lavori, ma tutti coloro che hanno ruoli e responsabilità – dirette e indirette – per sostenere un dibattito efficace e funzionale alla costruzione di una politica scolastica adeguata al Paese. Per esempio le forze politiche che dovrebbero considerare la scuola come un argomento bipartisan e non una delle tante arene di contrapposizione ideologica come spesso avviene.

A seguito del rapporto Censis poco o nulla è successo: è come se non si volesse affrontare l’argomento, come se le iniziative scolastiche già in programma fossero le terapie sufficienti e più adeguate a risolvere i mali della scuola. Ma siamo sicuri che queste siano già in corso? Non c’è nessuna ragione per essere tranquilli. Eppure l’allarme del Censis non è una novità e dovrebbe essere noto all’attuale classe dirigente (ma pure a quella precedente). Che cosa è stato fatto e con quali risultati?

Un’altra osservazione – forse la più importante – riguarda le percentuali totali dei traguardi di non apprendimento degli obiettivi minimi: i numeri possono essere disaggregati in maniera minuziosa fino a essere definiti per ogni singolo istituto scolastico. I dati terribili di cui abbiamo dovuto prendere atto dovrebbero allora essere la sommatoria di quelli di ogni singolo istituto scolastico, a loro volta sommatoria delle performance della singola classe. Ciò significa che ogni scuola dovrebbe avere un set completo di indicatori dei risultati sui livelli minimi di apprendimento, che possono diventare un riepilogo della ‘qualità’ dell’istituto stesso.

Puntare sull’accountability degli istituti

Che cosa ce ne si fa degli indicatori delle performance scolastiche? I dati forniscono il livello dell’apprendimento scolastico conseguito nell’istituto e quindi la misurazione della ‘funzione produttiva’ di quella scuola (in fondo si va in classe per apprendere). Un istituto scolastico dove la percentuale degli apprendimenti minimi non raggiunti è del 40% non è certo una buona scuola e sicuramente non svolge il suo compito… C’è quindi da preoccuparsi per quegli istituti professionali dove il Censis ha indicato che la percentuale dei non apprendimenti minimi ha raggiunto vertiginosamente valori prossimi all’80%. E ci sarebbe da chiedersi se tra questi istituti ci sono quelli che appartengono alle 396 scuole che hanno deciso di attivare la riforma 4+2: in che modo una già nota performance negativa sul raggiungimento degli obiettivi di apprendimento minimo nel percorso quinquennale può essere migliorata riducendo il percorso di studi a un quadriennio?

I dubbi e le osservazioni sono tanti e porseli aiuta a spingere lo sguardo su un problema complesso e non di facile soluzione, e che va ben oltre gli orizzonti odierni. Sarebbe importante conoscere il livello di consapevolezza su questa emergenza scolastica in ogni istituto, a partire dai suoi ‘organi di governo (il Consiglio di istituto e il Collegio dei docenti): ne sono almeno informati? E quali sono le loro responsabilità? Sarebbe utile, che ogni scuola redigesse un bilancio sociale pubblico che rendicontasse in maniera esauriente e approfondita l’esito degli apprendimenti e per le scuole superiori, a partire dagli istituti tecnici e professionali, la valutazione nelle materie professionali e dell’esame di maturità. Si tratterebbe di uno strumento che qualificherebbe il ruolo strategico dell’istituzione scolastica e che lo comunicherebbe a tutti i portatori di interessi. Inoltre favorirebbe la conoscenza del mondo scolastico in quelle ‘alleanze’ tra imprese e scuole che sembra siano diventate il punto centrale delle politiche scolastiche.

Ma se questo è uno scenario futuristico, almeno ci si chiede se le percentuali di débâcle indicate dal Censis si ridurranno e di quanto. E soprattutto quali misure garantiranno che questo avvenga. Nella situazione in cui ci troviamo è urgente attivare un piano emergenziale di recupero degli apprendimenti minimi che deve essere prodromico a tutte le riforme. E il piano emergenziale va fatto con grande coraggio, anche rompendo privilegi o posizioni che durano da tempo. Per abbattere queste percentuali di ‘non performance’ serve un intervento a livello nazionale, ma che sia composto da interventi locali per ogni singolo istituto.

La prima responsabilità, si è detto, deve essere in capo alle famiglie, che non pongono al centro dell’azione educativa l’istruzione dei figli: si accontentano dei voti e non se questi non sono coerenti con il reale livello di apprendimento degli studenti. Ma degli apprendimenti minimi se ne deve occupare comunque l’istituzione scolastica: è la sua funzione principale e stavolta non regge nemmeno la scusa che mancano i soldi. Occorre fare il proprio mestiere e creare la cultura dell’accountability, perché ogni singolo istituto con la sua governance e con responsabilità, renda conto anche alla società civile, di quello che ha fatto e che fa.

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Valerio Ricciardelli

Valerio Ricciardelli

Perito elettronico e laureato in Ingegneria Elettronica al Politecnico di Milano, è Maestro del Lavoro. Le prime esperienze lavorative sono nel campo dei sistemi di controllo. Nello stesso periodo, per nove anni, è anche docente di elettronica industriale presso un importante istituto tecnico serale. Contemporaneamente inizia la sua attività presso una società di un gruppo tedesco, leader mondiale nella componentistica per l’automazione industriale nonché partner del governo della Germania per la costruzione del modello duale della formazione professionale. Successivamente diventa Direttore Generale e Amministratore Delegato di una nuova società del gruppo che si occupa di consulenza strategica e operativa nelle aziende industriali a cui appartiene una scuola di Industrial Management e una divisione per i sistemi di apprendimento. È stato pioniere delle prime iniziative di formazione applicata superiore nazionali e transnazionali. Ha intrattenuto rapporti con molti istituti tecnici e istituzioni pubbliche ed è stato promotore e attore di iniziative riguardanti l’evoluzione delle professioni tecniche. Ha terminato la sua attività professionale nella posizione di Vice President del gruppo internazionale, per il settore della Global Education, occupandosi dell’interconnessione tra economia e mercato del lavoro per la progettazione e realizzazione di sistemi TVET per governi di Paesi in via di sviluppo.

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