Perché i capi sono (spesso) incapaci?
Vi siete mai chiesti come mai una persona incompetente sia arrivata a ottenere una posizione di comando? Basta guardarsi intorno, navigare su Internet o accendere la televisione e gli esempi fioccano. Un recente sondaggio condotto dal Work Institute americano ha rilevato che avere un manager inadeguato è uno dei problemi principali che spingono i dipendenti a cambiare lavoro. E, statisticamente, in tutto il mondo la grande maggioranza dei capi è di sesso maschile.
Tomas Chamorro-Premuzic, professore di Psicologia aziendale all’University College di Londra e alla Columbia di New York, si è posto la domanda che è poi diventata il titolo del suo saggio: Perché tanti uomini incompetenti diventano leader? (Egea). La risposta è che a determinare un pessimo capo non è tanto il suo genere, quanto il modo errato in cui vengono valutate le competenze che deve possedere.
In questo libro, Chamorro-Premuzic pone anche un’altra domanda scomoda, strettamente collegata alla prima: “perché è così difficile per le persone competenti – specialmente se sono donne – farsi largo”? Poggiandosi su decenni di ricerche, l’autore svela perché il potere continua a essere maschile anche se gli uomini forniscono prestazioni non all’altezza dei compiti e inferiori a quelle delle donne in posizioni di vertice. Il fatto è che le organizzazioni tendono a identificare il potenziale di leadership con alcuni tratti della personalità tipicamente maschili, come l’eccessiva sicurezza di sé e il narcisismo, che in realtà hanno effetti distruttivi.
Questi tratti possono infatti aiutare un candidato a essere selezionato per un ruolo di leadership, ma risultano controproducenti quando quella persona prende possesso della posizione conquistata. Nel saggio è dimostrato che, quando le donne competenti (e gli uomini che non corrispondono allo stereotipo dominante) sono messi da parte, ne soffriamo tutti le conseguenze. Il risultato è un sistema profondamente distorto che premia l’arroganza più dell’umiltà e i toni alti più della saggezza. Ma fare di meglio è possibile, e l’autore immagina nuovi sistemi e processi che possano aiutarci a mettere le persone giuste nei posti chiave.
Il mito del carisma maschile è controproducente
Sarebbe diverso, per esempio, se quei ruoli fossero ricoperti da donne? Nella prefazione all’edizione italiana, Severino Salvemini, Professore ordinario di Organizzazione aziendale presso il Dipartimento di Management e Tecnologia dell’Università Bocconi di Milano, “negli affari (ma nella politica non si è molto distanti) il machismo è diventato l’ingrediente per l’uomo solo al comando, che tanto piace alla gente perché offre aspettative di chiarezza di guida, quanto poco poi funziona per lo spirito di gruppo e la coesione collettiva”. E le colleghe ancora continuano a lottare contro stereotipi culturali molto diffusi, nonostante i vasti programmi a favore della diversità.
Il volume sottolinea alcune evidenze empiriche per dimostrare che le donne performano meglio degli uomini: vengono citate almeno 45 ricerche compiute in tutto il mondo, da cui si comprende che il genere femminile è più efficacemente orientato al cambiamento quando è alla guida di un team, elabora e comunica meglio la propria visione del business, sottolinea maggiormente i valori del rispetto e dell’orgoglio nella politica motivazionale dei collaboratori, fa uso più raffinato di empowerment con i subordinati, approccia il problem solving con creatività e flessibilità, tende a essere più oggettivo e leale nel processo di valutazione dei dipendenti. In poche parole ha più intelligenza emotiva, che è oggi la vera qualità per guidare realtà articolate e complesse.
Chamorro-Premuzic avverte: poiché noi tutti desideriamo una migliore classe dirigente, non dobbiamo abbassare gli standard quando selezioniamo persone di genere femminile per dare loro uguali opportunità, ma è meglio alzare l’asticella quando selezioniamo il genere maschile, in modo che nulla venga dato per scontato.
Elisa Marasca è giornalista professionista e consulente di comunicazione. Laureata in Lettere Moderne all’Università di Pisa, ha conseguito il diploma post lauream presso la Scuola di Giornalismo Massimo Baldini dell’Università Luiss e ha poi ottenuto la laurea magistrale in Storia dell’arte presso l’Università di Urbino.
Nel suo percorso di giornalista si è occupata prevalentemente di temi ambientali, sociali, artistici e di innovazione tecnologica.
Da sempre interessata al mondo della comunicazione digital, ha lavorato anche come addetta stampa e social media manager di organizzazioni pubbliche e private nazionali e internazionali, soprattutto in ambito culturale.
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